E’ un ’68 raccontato “con disincanto” da giovani per i giovani quello di Serena Sinigaglia che cura la regia dello spettacolo e condivide la drammaturgia con Paola Ponti. “1968”, in scena a Napoli al teatro Nuovo, rientra nel ciclo sul Fondamentalismo.
Un accurato lavoro documentaristico rende più consistente il progetto, a tratti confusionario, interpretato da attrici molto brave: Beatrice Schiros, Irene Serini, Marcela Serli, Sandra Zoccolan. Massimo Betti, Elvio Longato, Mara de Pinto suonano dal vivo e accompagnano le canzoni di protesta dei favolosi anni ’60, dai Beatles ai Rolling Stones, da Bob Dylan a Jim Morrison, da Leonard Cohen a Francesco Guccini. La Sinigaglia racconta l’aura mitica che avvolge quel periodo di protesta che coinvolse il movimento studentesco e non solo, ma anche tanti giovani, bianchi e neri, intellettuali e operai; racconta le battaglie per la democrazia, l’uguaglianza sociale, l’abbattimento delle barriere, la ribellione al razzismo – si voleva cambiare il mondo. Erano anni di profondi cambiamenti che avrebbero condotto ad eventi epocali: la caduta del Muro di Berlino (siamo nel 1989), Alexander Dubcek e la Primavera di Praga, le olimpiadi in Messico e la strage in plaza de la Tre Culturas, la Legge Basaglia, le condizioni della classe operaia con gli insopportabili terroni che lavorano al Nord da pendolari, sempre stanchi, con l’alienante routine e lo sfruttamento che ti svuota, le rivendicazioni femministe.
Il progetto si spinge fino alle conquiste degli anni ’70, dalla Legge Fortuna Baslini (sul divorzio) alla tutela della maternità, dalla riforma del diritto di famiglia alla voce critica di Don Milani e alla sua Barbiana. “Hanno fatto un deserto e lo chiamano pace”, diceva Tacito, frase citata per la guerra del Vietnam, ma che vale anche per la protesta contro le olimpiadi in Messico culminata nel sangue, la politica di De Gaulle, l’assassinio di Martin Luther King, piazza Fontana, i carri armati sovietici in Cecoslovacchia…
La Sinigaglia inserisce anche una parentesi quasi surreale, con Don Chisciotte e Sancho Panza che lottano contro i mulini a vento. Sono i deliri di persone affette da disagio psichico, sono le inutili guerre che non portano a nulla. E risuonano le note acide, lisergiche di Joplin, di Cohen, “Un Dio che è morto” di Guccini e “Contessa” di Paolo Pietrangeli, per chiudere con “Nights in white satin” dei Mody Blues. Versi dal vate Ginsberg (“Urlo”) e un grammelot di canzoni italiane cantate di petto, con intensità, offrono amare riflessioni su quanto sia rimasto e quanto invece soffi nel vento…