E’ uno dei protagonisti dell’estate teatrale in Italia. Mariano Rigillo sta rappresentando in tournée, con Anna Teresa Rossini, “Il Burbero benefico” di Carlo Goldoni, diretto dal giovane regista Matteo Tarasco, che ha debuttato al Festival di Borgio Verezzi.
Rigillo, torna a uno dei suoi autori preferiti. Parliamo dello spettacolo.
“Si tratta di un’operazione elaborata, che parte dalla commedia originale con alcuni innesti da Cechov e da “Il settimo sigillo” di Bergman. E’ un’operazione interessante che mi ha molto stimolato. Gireremo in alta Italia, a Milano, in Piemonte”.
Come sarà il suo Geronte?
“E’ un vecchio mercante malato, d’altro stampo culturale. Rappresenta un mondo che va scomparendo, si trova a confronto con la nuova generazione dei giovani nipoti, sprecona e quasi priva di valori che prende il sopravvento”.
Uno sconfitto?
“No. E’ solo fragile come tutti coloro che vivono di principi. Sta sulla difensiva nei confronti della prepotenza e dell’invadenza della tecnologia spinta al massimo, però, sarà proprio lui, infine, ad accomodare la situazione che si viene a crearsi e conduce al lieto fine. Il regista fa del protagonista un giocatore di scacchi. Ecco, qui, lui gioca la sua ultima partita”.
Che cosa la intriga di più di questo personaggio
?“Le sue mille facce, passa dalla buffa alla seria, dal sorriso alla smorfia. La difficoltà per l’attore è quella di renderle tutte senza farne diversi personaggi”.
Nel frattempo rimette in scena il suo amato “Don Chisciotte”.
“Finalmente sono riuscito a riprenderlo anche se non per molte rappresentazioni. Siamo stati ad Asti da poco e ad agosto abbiamo numerose tappe al Festival della Magna Grecia nei siti archeologici della Calabria. E’ uno spettacolo particolare, che ha bisogno di una superficie ampia e pianeggiante. Non è facile, sto pensando infatti di farne una riduzione per gli spazi chiusi. Riscuote dovunque gran successo, ma purtroppo dal 2008, quando lo presentai a Napoli a Castel Capuano per cui è nato, ha avuto vita difficile. Spero di rimetterlo in corsa”.
I premi non si contano, ne riceve ovunque. Dopo il “Fanzago” a Palazzo Donn’Anna, tornerà a Napoli il 25 settembre per il “Masaniello”, ma la sua compagnia non è nei cartelloni della prossima stagione. Come mai?
“Abbiamo ricevuto poco sostegno pubblico, quindi siamo costretti a saltare quest’anno. Non è facile produrre spettacoli in proprio e quando mancano gli aiuti spesso bisogna fermarsi. Io sono grato al pubblico che continua a premiarmi in tante occasioni, ma a questo amore non corrisponde l’attenzione delle istituzioni e questo soprattutto a Napoli”.
Eppure i suoi spettacoli sono stati significativi a cominciare proprio da quel “Masaniello” di Elvio Porta che rappresentò un evento, alle rappresentazioni di Viviani, ai lavori con Patroni Griffi. Si sente trascurato?
“Non voglio parlare di quest’aspetto, ma è chiaro che proprio la mia città non si occupa di me e di quel che faccio. Mi addolora non essere accolto nei cartelloni o rientrare nei progetti. E’ vero che la crisi è nazionale e riguarda tutti, ma ho l’impressione che non ci sia più attenzione per la cultura. Meno che mai per il teatro, soprattutto per quel che si produce in Italia. A chi arriva da Avignone o Edimburgo si spalancano le braccia. Non dico di no, ma che almeno si sappia quel che si fa da noi. Esiste un teatro d’impegno che ha il diritto-dovere di esistere”.
Che cosa proprio non le piace nella programmazione teatrale?
“Niente. Per me la libertà d’espressione è sacra, però, andrebbe salvata la convivenza creativa di tutti i generi, invece si predilige un solo aspetto: lo svago. Così, chi non fa teatro commerciale o non è un personaggio televisivo, ha grandi difficoltà a lavorare”.