Robert Plant: quando il rock è di classe

Maresa Galli

Robert Plant (foto di Roberto Della Noce)
Robert Plant
(foto di Roberto Della Noce)

Un concerto carico di attesa non delusa, con migliaia di fan ad attendere la star del rock, la mitica voce e front dei leggendari Led Zeppelin all’Arena Flegrea di Napoli. Apre il concerto un gruppo favoloso, quello di Mike Sanchez and The Portions. L’ottimo blues singer, pianista, autore, band leader inglese conquista il pubblico con un repertorio irresistibile di r’n’b, r’n’r, blues, rockabilly, con il suo omaggio a John Lee Hooker e alla sua mitica Boom Boom, a Bo Diddley e ad altri mostri sacri.

Poi la scena si apre con l’ingresso di Robert Plant, che torna dopo dieci anni dall’ultimo concerto al Neapolis Festival, e della sua band The Sensational Space Shifters ed è un boato. La voce è ancora melodiosa, dolce e roca, versatile, sexy quando incanta con Rainbow, Al the king’s horses, brani tratti dal suo repertorio post Zeppelin, alternandoli con nuovi brani composti con la band attuale fino alla carrellata di vecchi successi della più importante band della storia del rock attesissimi dal pubblico.

Con i Sensational, ottimi musicisti, Plant riscopre le radici folk, un repertorio più world che concede lunghi assolo agli ottimi solisti tutti autori dei brani che interpretano. Suona banjo e chitarra acustica Liam “Skin” Tyson, chitarra elettrica, blues, rock’n’roll e rockabilly Justin Adams, John Baggott i synth, il goje Juldeh Camara dal Gambia, e la strepitosa sezione ritmica è composta da Billy Fuller al basso e Dave Smith alla batteria. Suggestivo il goje di Camara, il violino africano che con il mandolino e il banjo scandaglia sonorità folk e melodie napoletane.

Un momento di pura poesia è quello in cui Plant miscela Baby I’m gonna leave you con Surrender (Torna a Sorrento), cantata nello stile di Elvis che il musicista di West Bromwich ha tanto ammirato. Il suo ultimo album, Lullaby and the… Ceaseless Roar mostra la capacità di Plant di rimettersi in gioco senza vivere di gloria passata e nostalgia. Con i Sensational approda alla poliritmia africana passando per il blues, il folk, la trance, riscoprendo le tradizioni celtiche. I suoni giungono sino all’elettronica dei sintetizzatori di John Baggott (già membro degli Strange Sensation di Robert Plant e dal vivo con Portishead e Massive Attack) per poi tornare al grande r’n’r. Da Black Dog a What Is and What Should Never Be passando per la tradizionale Little Maggie, suonate con uno stile più intimo, country, Plant delizia i fan con No Place To Go dei Fleetwood Mac, How Many More Times, Dazed And Confused, Black Dog, Whole lotta love, Hey! Bo Diddley. E ancora

I just want to make love with you di Willie Dixon, una travolgente Whole lotta love, intercalate da Blubirds over the mountain di Ersel Hickley prima della celebre Rock and Roll in un rutilante medley di folk rock: All the King’s Horses, Babe, I’m gonna leave you, Fixin’ to die di Bukka White prima della struggente Going to California.

La bravura e l’intelligenza di Plant fanno si che le note prolungate dell’hard rock diventino oggi sopracuti di velluto, che le parentesi più acide si trasformino in caldi abbracci vocali, per un artista oggi sessantottenne ancora caposcuola di stile ed eleganza che non vive seduto sugli allori ma guarda avanti con sapienza e ironia.

 

 

 

 

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