Roberto Azzurro

Maresa Galli

Roberto Azzurro in scena

Quest’anno ha portato in scena un lavoro teatrale tratto dalle memorie di Boniface de Castellane, l’ultimo e più grande dandy della Belle Epoque. Roberto Azzurro, attore, autore e regista teatrale,spesso nei panni di politici e re,  di discriminati e dittatori, spiega il senso delle sue scelte.

“Il testo è “L’arte di essere povero”, di Massimiliano Palmese, di cui curo la regia. Boniface, l’uomo più elegante d’Europa, un autentico dandy della Belle Epoque, definito Le Roi de Paris, un gran personaggio dagli alti valori, di grande spessore, è stato anche impegnato politicamente. Nonostante lo sfarzo nel quale viveva, per il gusto della bellezza e del superfluo, un vero anticonformista, ha combattuto il colonialismo, la corsa alla Prima Guerra Mondiale. Ho debuttato con questo spettacolo al teatro Elicantropo e l’ho riproposto a Caserta, al teatro Civico 14 e al Primo di Napoli”.

Lei ha aderito a “ContaminArte”: di che cosa si tratta?

“Con il progetto di Rosi e Francesco Padovani, abbiamo debuttato a Milano con un recital con testi, musiche a cura di Mariano Bellopede, fotografie di Francesco Padovani. Il mio ruolo è di attore e regista. I testi sono di Manlio Santanelli: racconti, piccoli dialoghi, con un’incursione nel romanzo di Anna Maria Scarfò, “Malanova”. Lo scorso mese abbiamo presentato a Napoli, nel Museo del Tesoro di San Gennaro, “Contamin Arte San Gennaro”, un progetto sulla deità femminile e il miracolo del Santo patrono; le musiche sono di Paolo Coletta.

E del Braibanti, che dice?

“Il nuovo spettacolo scritto con Massimiliano Palmese, “Il caso Braibanti”, è ispirato alla vita dell’uomo di cultura, scultore e mirmecologo, ultimo cittadino arrestato per plagio nel ’68. Aldo Braibanti è l’unico italiano che ha scontato in carcere il reato di plagio, legge d’epoca fascista cambiata quando fu accusato di analogo crimine un vescovo…

Come si collega ai lavori su Wilde e Pasolini?

In “Italiaetta” di cerciello ricoprivo il ruolo di Pasolini. Lì è iniziato un excursus nelle biografie di personaggi storici passando anche per Hitler. “Il primo processo di Oscar Wilde” è stato un successo. La drammaturgia di Massimiliano Palmese è tratta dall’omonimo libro a cura di Paolo Orlandelli e Paolo Iorio. In una società con continui processi televisivi sembra che tutti siano assetati di verità, ma non è così. Viviamo in una società omofoba, ipocrita, e questo spettacolo  è un processo politico contro tutte le discriminazioni”.

Esiste ancora il pensiero critico, un pubblico che risponde ad un’offerta culturale forte?

 “Sicuramente, e lo dimostrano i reading letterari, sempre affollatissimi. Di recente ho presentato il libro di Alessio Arena, il nuovo di Ivan Cotroneo, “Le vie nascoste. Tracce di Italia remota”, il bel libro di Antonio Mocciola. Amo dare vita ai racconti di Mocciola che parla di paesi abbandonati. Così come mi appassiona riportare in vita personaggi esistiti, mi piace riportare in vita paesi che sono morti, che custodiscono la memoria delle pietre. Da qualche anno sto lavorando ad un mio Dogma teatrale, mutuando l’espressione da Lars von Trier: spoglio lo spettacolo di tutti gli effetti (e sono un appassionato delle luci); adopero solo musiche dal vivo e uno strumento, il mandolino, di Marco Sgamato, che consente di restituire la tradizione napoletana con un’altra atmosfera. Il teatro è sollecitare l’immaginazione dello spettatore. Le meravigliose avanguardie storiche nell’ambito teatrale hanno fatto saltare uno stadio agli attori, la recitazione, per mettere in luce solo lo stato d’animo. Io sono per la semplicità, per uno stile naturalistico e astratto, iperbolico allo stesso tempo”.

E’ stato protagonista della rassegna “L’arte del racconto” con testi di nuovi autori.

“Sì e la metteremo nuovamente in scena il 17 maggio al teatro Nuovo con Antonella Morea ed altri attori per un reading contro l’omofobia con brani di autori contemporanei. E realizzeremo anche la messa in scena di “Quattro mamme scelte a caso”, di Massimiliano Palmese, del quale curo la regia. Nasce come omaggio ad Annibale Ruccello; isono stati commissionati a quattro autori storie ispirate alle mamme raccontate da Ruccello:  Alessio Arena (“Sciore arancia”), Luigi Romolo Carrino (“70 mi dà tanto”), Palmese (“La pocalisse”) e Massimiliano Virgilio (“Il fatto più bello”).

 

Qual è il suo rapporto con il cinema? Lei è stato Damiani ne “Il resto di niente” di Antonietta De Lillo…

“E’ un rapporto pressoché inesistente; ho vissuto a Roma e sono stato aiuto regia di Antonio Calenda, nell’empireo del teatro di prosa degli anni ‘90. Ho fatto piccole incursioni nel cinema, come quella con la De Lillo, che non mi affascinano come il teatro che nasce e muore ogni giorno, come dice Piera Degli Esposti. Io amo questa sua mortalità ed evanescenza. Il cinema ha bisogno di attenzione e tutte le mie energie sono indirizzate al teatro”.

E’ stato impegnato con alcuni tra i più grandi attori italiani… qual è la lezione dei maestri?

 “Ho lavorato con tanti grandi attori naturalistici ed astratti: Anna Proclemer, Giorgio Albertazzi, Roberto Herlitzka, Gabriele Ferzetti, Piera degli Esposti, Giancarlo Cobelli. Con la Proclemer ho imparato la maestria della grande tecnica, la capacità di spostare gli accenti, pause, appoggi tonali; con Piera, grandissima attrice, si scopre la magia di apprendere cosa può diventare una parola, una frase come suggestione sonora, l’intensità della recitazione”.

Il prossimo progetto?

“Sarà tratto da “Edward II”, di Christopher Marlowe, ed è assolutamente originale; è tradotto e riscritto da Massimiliano Palmese. Si intitolerà “Eduà II”, perché avrà una natura partenopea; io ne curo la regia e interpreto Edoardo. La bellezza dell’attore è di poter fare cose che mai farebbe o potrà essere nella vita: anzitutto il re… ”.

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