“Roma città aperta”, quando il cinema si fa Storia

Alberto Tuzzi

Roma,  1944. Nella città dichiarata “aperta” ma, di fatto, zona di guerra, la lotta degli occupanti nazisti, comandati dal maggiore Bergman (Harry Feist), e i loro alleati fascisti contro le forze della Liberazione, travolge la popolana Pina (Anna Magnani), il suo compagno Francesco (Francesco Grandjacquet), membro della Resistenza, Manfredi (Marcello Pagliero), anch’egli membro della Resistenza e don Pietro (Aldo Fabrizi), parroco del quartiere.

Roma città aperta, il film di Roberto Rossellini, ispirato alla vicenda di don Morosini fucilato dai tedeschi, è sceneggiato dallo stesso regista con Sergio Amidei, Ferruccio Disnan, Federico Fellini e Celeste Negarville. Il regista gira il film subito dopo la liberazione di Roma in condizioni precarie, con pochi soldi, usando pellicola scaduta e set di fortuna. Rossellini realizza un’opera di rottura, ancora oggi commovente, che con il suo stile sobrio e diretto reagisce alla retorica di anni di fascismo e mostra un’Italia autentica e popolare, devastata dalla guerra.

Locandina del film

Nel film la violenza degli occupanti domina la vicenda e il regista mostra, con lucido realismo, la morte dei protagonisti per mano dei tedeschi: quella di Manfredi sotto tortura, quella di Pina. falciata sotto gli occhi del figlio, e quella di don Pietro fucilato. Nel film, contro la disumana logica nazista, i protagonisti fanno appello ai valori morali e religiosi più comuni, ognuno con la propria visione del mondo ma senza che l’una sovrasti le altre, mostrando come la tolleranza, la solidarietà e lo sforzo comune nella lotta antifascista superano qualsiasi differenza ideologica.

Opera cruciale per il nostro cinema, “Roma città aperta” ispira intere generazioni di autori e di registi; con questo film, a torto o a ragione, inizia l’uso del termine “neorealismo”, anche se alcuni aspetti che lo caratterizzano sono già presenti in film italiani realizzati durante il fascismo. Nasce in Italia un nuovo modo di girare, che racconta il paese uscito dalla guerra e riscopre il “Vero”, senza orpelli retorici, con un linguaggio che conquista l’Europa e Hollywood. Il cinema italiano diventa, di colpo, arte-guida e autorevole rappresentante culturale di un paese che si riaffaccia, timidamente, sulla scena internazionale.

Accolto con freddezza in Italia, ha un immediato successo all’estero, vincendo il Festival di Cannes nel ‘46 e il Nastro d’argento nello stesso anno per il miglior film e per la migliore attrice non protagonista alla Magnani. Memorabili le interpretazioni di Aldo Fabrizi e di Anna Magnani, grandiosi attori, già popolari, ma per la prima volta in ruoli drammatici. In particolare, l’attrice, con la sua straripante e corporea vitalità, rappresenta la donna “vera” che entra in scena nel cinema italiano, ribaltando lo stereotipo femminile imposto da anni di “cinema dei telefoni bianchi”.

Anna Magnani e Aldo Fabrizi in una scena

Rossellini, fra i grandi della storia del cinema, rende omaggio alla Resistenza e a coloro che hanno rischiato o perso la vita per la libertà con “Roma città aperta”, un film per cui è sempre valida l’affermazione di Otto Preminger, altro grande della settima arte: “La storia del cinema si divide in due ere: una prima e una dopo Roma città aperta”.

 

 

 

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