Russo Alesi: “Una ferita mai rimarginata”

Anita B.Monti

Ho iniziato a studiare L’arte della commedia – dice Fausto Russo Alesi – prima della pandemia per la forza e la lucidità con cui Eduardo si occupa della condizione dell’attore”. Si può sintetizzare con questa frase l’intento del drammaturgo che, nel suo ‘manifesto’ volle denunciare nel 1964 la condizione dell’arte, e del teatro e dei suoi rappresentanti. Un testo scomodo, attualissimo tra l’altro, che riguarda il rapporto contradditorio tra lo Stato e il “Teatro” e il ruolo dell’arte e degli artisti nella nostra società.

Riadattando il testo, Fausto Russo Alesi lo mette finalmente in scena, con tre produzioni e una ricca compagnia, formata da artisti dalla scarsa visibilità e tanti giovani talenti “tutti potenziali capocomici”. Recitano con lui: David Meden, Sem Bonventre, Alex Cendron, Paolo Zuccari, Filippo Luna, Gennaro De Sia, Imma Villa (unica donna), Demian Troiano Hackman, Michele Schiano di Cola. Le scene dello spettacolo sono di Marco Rossi, i costumi di Gianluca Sbicca, le musiche di Giovanni Vitaletti, il light designer di Max Mugnai, la consulenza per i movimenti di scena di Alessio Maria Romano.

Sem Bonventre con David Meden (foto di Anna Carmelingo)

 

Mi piace anche sottolineare – continua il regista – che Eduardo De Filippo, per raccontarci del suo pensiero sull’arte e per sollecitare l’attenzione del fondamentale personaggio del Prefetto, ci inviti a spiare da un metaforico buco della serratura le storie di esseri umani, cittadini, professionisti, che ricoprono un ruolo essenziale nella società e che per questo appunto pretendono di essere ricevuti. E non è ovviamente un caso che i ruoli che qui scrive per la scena diano proprio voce alla cultura, alla sanità, all’istruzione, alla legge e a un rappresentante della Chiesa.

 

Eduardo così tira fuori il suo rospo in gola, non fa sconti a nessuno e affronta verità e tematiche incandescenti: la fede e la scienza, il divorzio e l’aborto, la giustizia, la corruzione e l’immobilismo di un intero Paese, rivendicando con forza la funzione del Teatro di farsi veicolo e di insinuare il dubbio nello spettatore, attraverso una raffica d’interrogativi irrisolti e soprattutto attraverso un intenso primo piano sulla faccia e sul corpo dell’attore”.

 

 

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