La metafora è il teatro. In questa sintesi, Mimmo Borrelli condensa il senso dello spettacolo Sanghenapule. Vita straordinaria di San Gennaro, da lui scritto e diretto, in scena fino al 22 ottobre 2023 al Teatro Bellini di Napoli. Messinscena del 2016, rappresentata altrove, che giunge finalmente nella nostra città.
Com’è solito per lui, il drammaturgo bacolese si esprime in versi in rima e con il corpo diventa simbolo. Migliaia di parole incandescenti, in una lingua antica ed evocativa, mista tra italiano, latino, dialetto flegreo e invenzione, esprimono la città-mondo. Napoli, unica metropoli che può vantare un patrimonio fatto non solo di arte e di storia, ma di miti e riti antichi, in cui tutto è personificato dal Vesuvio alla lava incandescente.
Diavolo, emigrato, anarchico o pensatore, Borrelli si veste dei personaggi reali e fantastici che ne hanno fatto la storia. E’ Lucifero, l’angelo ribelle caduto dal Paradiso, che da un altare profano sparge pezzi di cielo. E’ Filangieri, il filosofo della felicità, ispiratore della Costituzione americana. E’ Domenico Cirillo, impiccato durante la rivoluzione del 1799. E’ l’uomo, che vive ogni giorno tra le mille contraddizioni di una città che dall’altare è caduta nella polvere. E’ San Gennaro, cresciuto nella fantasia del popolo, fino a diventare il patrono cittadino.
Accanto a lui, alternandosi nel racconto, c’è Roberto Saviano. Noto giornalista e scrittore, con stile asciutto da cronista, racconta la storia di Partenope, dalla nascita ai nostri giorni e ne ricorda le battaglie, le rivoluzioni, gli umori, la gloria ed il declino.
Ma soprattutto, entrambi, raccontano la storia di San Gennaro. Anch’egli personaggio sui generis. Un santo quasi pagano, che non giudica, “ascolta e sa”. Che aiuta pure il ladruncolo affinché riesca nell’impresa illegale.
E, nonostante si trovi accanto al Creatore, sopporta pure gli improperi e le maledizioni della popolazione, quando il “miracolo” non lo fa.
Ianuario, più famoso di Francesco, di Pietro, di Paolo. Ianuario, che ferma la lava e salva la città in mille occasioni nei secoli. Che protegge in ogni caso e annuncia dolore e sventura quando il sangue contenuto nelle preziose ampolline resta raggrumato.
Sono bravi gli interpreti, in questo lungo rituale, a riportare la lunga storia della città, che più fa parlare di sé. Che è stata patria di emigranti, – “una tonnellata umana”, “carne da macello”, “emorragia della storia” – che hanno affrontato il mare per raggiungere le Americhe, nel periodo più buio.
Accolti in grandi barconi, che compongono in parte la scenografia di Luigi Ferrigno, nella messinscena, sottolineata dalle musiche di Gianluca Catuogno e Antonio Della Ragione, che sembrano provenire dalle viscere più profonde.
Non fa sconti alla città, Borrelli, ne fa un ritratto impietoso, che potrebbe essere scritto oggi. Il cambiamento di cui sempre si parla, non avverrà. E lui, drammaturgo, regista, attore, cittadino, resta nella sua città, lascia agli altri la scelta di abbandonare.
Lo dice in chiusura: una litania di improperi sui napoletani, tratti dal poemetto “Napucalisse”. Conferma il suo pensiero, che con impeto e carnalità, rimanda allo spettatore.
Ai lati del palco è tutto un ardere di fuoco e lava incandescente. Perché è il sangue il filo rosso che lega tutto. Un sangue che si scioglie e quindi rinasce alla vita.
Ovazione alla prima.