
(foto Sgueglia)
Lunghi applausi per Adriana Lecouvreur, commedia-dramma di Eugène Scribe e Ernest W. Legouvé ridotta in quattro atti per la scena lirica da Arturo Colautti, musica di Francesco Cilea, in scena al Teatro di San Carlo di Napoli fino a domenica 23 ottobre. Ovazione per la magistrale direzione di Daniel Oren. Il maestro israeliano ritorna a Napoli dopo il grande successo riscosso la scorsa estate nella rassegna “Un’Estate da re”, quando ha diretto Coro e Orchestra del San Carlo di Napoli nel Nabucco di Giuseppe Verdi alla Reggia di Caserta. “È sbagliato considerarla un’opera verista – spiega Oren – la sua partitura è piena di delicatezze armoniche e sfumature strumentali che l’avvicinano di più a certe trasparenze dell’impressionismo francese”. L’opera, che ritorna al Lirico in occasione dei centocinquanta anni dalla nascita di Francesco Cilea, è un omaggio a Daniela Dessì, il compianto soprano recentemente scomparso, interprete straordinaria dell’ultima edizione di Adriana Lecouvreur in scena al San Carlo nel 2003. Narra di Adrienne Lecouvreur, una delle principali attrici della Comédie-Française, grande amica di Voltaire, morta per cause misteriose nel 1730. Nell’allestimento del Teatro di San Carlo, che si avvale di Orchestra, Coro e Corpo di Ballo del Teatro di San Carlo, ottima protagonista è Barbara Frittoli (che si alterna nel ruolo con Svetla Vassileva), così come Luciana D’Intino, la principessa de Bouillon, (che si alterna con Marianne Cornetti). Completano il cast Maurizio, Marcello Giordani (Gustavo Porta), il principe de Bouillon, Carlo Striuli, l’abate di Chazeuil, Luca Casalin, Michonnet, Alessandro Corbelli (Alberto Mastromarino), Quinault, Paolo Orecchia, Poisson, Stefano Consolini, Mad.lle Jouvenot, Elena Borin, Mad.lle Dangeville, Milena Josipovic (Giovanna Lanza). Di pregio i costumi di Giusi Giustino e le incantevoli scene di Nicola Rubertelli che rievocano l’atmosfera della commedia francese, con il sapiente gioco di luci di Claudio Schmid e le coreografie di Michele Merola. Il regista Lorenzo Mariani è riuscito nell’intento di far vivere agli spettatori “il senso di profondissimo dolore che ha origini ancestrali ed è proprio della Magna Grecia, di una terra come la Calabria di Cilea che ne ha ereditato diverse connotazioni, soprattutto nella percezione del destino, nelle manifestazioni legate al lamento e all’accettazione”.

E questa sensibilità è la cifra della grandezza del compositore. Tipici della scrittura di Cilea sono i Leitmotive, che caratterizzano le entrate in scena di tutti i personaggi. Su siparietti quasi tragicomici tipici della leziosità settecentesca si inseriscono momenti melanconici tipici del decadentismo. Ad arie eroiche o momenti di pura recitazione, con citazioni dotte, si vive un crescendo drammaturgico fino al dramma finale. La morte di Adriana avvenne per cause misteriose ma Cilea sposò la versione, più teatrale, della morte per avvelenamento, avvenuta per mano della sua rivale in amore. Un bel cimento vocale nel segno “dell’italianità e della parola, una caratteristica – spiega la D’Intino – che ha dato gloria nel mondo a Cilea e che bisogna trasmettere alle generazioni future”. Ottima prova del Coro diretto da Marco Faelli e dell’Orchestra del Massimo mirabilmente diretta.