In un apocalittico presente, Roberto Russo racconta una Napoli finita. Carica di rifiuti, avvelenata nel cuore della terra e del mare, maltrattata e violata. Le basteranno l’arte e la bellezza per risorgere dalle ceneri di incendi e fuochi fatui?
La messinscena di Rifiuti – Il primo giorno è in programma al Teatro Area Nord di Napoli fino a domenica 23 aprile. Diretta dal visionario Gianni De Feo, è interpreata da Sergio Di Paola e Imma Pagano.
Sulla scena due probabilissimi personaggi di oggi: lui, Jacco, un ex attore, un clown, che ha abbandonato ogni speranza, consapevole del Nulla che lo circonda, vive “sopra la monnezza”. Lei, Loise, borghese, fellinianamente vestita, è testardamente cieca, vive di illusioni, abiti firmati, casa, famiglia, sogni perduti, negando l’evidenza.
A far da coro, le ombre (Ida De Rosa e Lorenzo Russo). Di autorevoli morti, di aspettative mai raggiunte, di tentativi mai riusciti.
Se all’inizio sembra quasi di essere in un contesto bechettiano, dove Willy e Winnie (molto poco felice) tentano di comunicare senza riuscirci, a mano a mano che la recitazione va avanti, il testo mostra altri contenuti. Ecco dunque gli accenni a note melodie tradizionali, eseguite dal vivo dal violino di Caterina Bianco, frasi dal Cunto de li Cunti, suoni e voci lontani. Tante le citazioni, i nomi celebri dal Basile a Moscato, qualche luogo comune, e la denuncia di secoli di abbandono e di degrado.
Surreale e poetico Di Paola/Jocco, coinvolgente nei suoi giochi d’illusionismo, precisa la Pagano/Loise che passa da un tono all’altro disegnando una donna, o tante donne, fino a rivelare una violenza subita nell’infanzia. Seppure così diversi, i protagonisti si ritrovano insieme sulla costruzione in legno (scene di Roberto Rinaldi) messa lì, in un angolo tra i rifiuti, un albero forse, seppure rinsecchito, unico rifugio in questa catastrofica condizione. Cullati dalla cantilena di versi melodiosi in vernacolo, i due sopravvissuti finalmente appaciati, si addormentano, nel crepuscolo, che è ormai sera. Ma nel finale rassicurante, tornano inattese le ombre, ricordando la desolazione del presente. Sul viso non lacrime ma un sorriso, forse un’apertura verso il futuro che, inevitabilmente, è già presente.
Uno spettacolo su Napoli, che potrebbe essere metafora della Terra tutta o della Madre Natura calpestata, trasgredita, ignorata dall’uomo ormai non più umano, perché troppo egocentrico per esserlo.
Chiara la mano del regista che gioca da anni con note, versi, colori ed evocazioni anche come interprete di tanti suggestivi lavori. Un testo che si aggiunge alla vasta produzione di Roberto Russo, che ha affrontato temi di genere diverso, con un occhio sempre attento alla sua città.