Un baraccone sgangherato

Redazione

Lo ha rinnovato inserendo nel cast Valentina Stella, interprete grintosa e appassionata del repertorio musicale napoletano e non solo. Gabriele Russo riporta in scena Granvarietà dal 27 aprile nel suo teatro Bellini (Napoli), dopo una tournée di successo.In scena con i due artisti, Salvatore Misticone Adriano Falivene e venti giovani attori.

Quando si parla di Varietà – spiega Gabriele Russo – si fa riferimento ad un preciso periodo storico ed ai suoi attori-scrittori che ne furono gli interpreti più significativi, su tutti citerei Maldacea, Petrolini, Totò, o lo stesso Viviani. Nel caso di “Granvarietà” invece, ho scelto di non porre limiti temporali di repertorio o di genere, di non seguire un percorso filologico ma di attingere a tutto ciò che è ‘spettacolo’. Il testo, dunque, è nato da un’ ampia ricerca tra filmati di repertorio, vecchi copioni, e, chiaramente, dal patrimonio personale degli attori che avrebbero dovuto poi interpretarlo; il risultato ne è l’esatta conseguenza. “Granvarietà” è un enorme baraccone, un circo sgangherato, dove un pezzo di Viviani può sovrapporsi ad una canzone di Paolo Conte, dove una canzone di Brecht può scivolare in uno sketch di Nino Taranto, o anche un pezzo popolare come “Camon Paisà” può sovrapporsi al famosissimo “Tic “di Giorgio Gaber.

La linea che tiene insieme generi e ritmi così diversi è sottile ma ben visibile: un presentatore-clown sconquassato e multiforme accompagnato dal suo sarto personale ed effeminato cuciono la tessitura di questo enorme circo, e lo fanno citando il teatro dell’assurdo o la comicità demenziale dei giorni nostri.Il risultato è uno spettacolo brillante, divertente, gioioso, dal ritmo mozzafiato, i cui protagonisti sono solo e soltanto gli attori-cantanti con il loro talento, qualità imprescindibile in un genere come il Varietà che è fatto di pura comunicazione con il pubblico; e la musica, rigorosamente dal vivo.Canzoni, sketches esilaranti, macchiette, quadri d’insieme di grande impatto emotivo, nulla è sottratto allo spettatore che per due ore potrà dimenticare la rozzezza del linguaggio televisivo contemporaneo e ricordare cosa eravamo capaci di fare un tempo non molto lontano, a teatro come in televisione”.

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