Una favola rock

Maresa Galli

Una scena dello spettacolo
Una scena dello spettacolo

Qualcuno l’ha definita una favola rock dal sapore dolceamaro, ma una definizione del genere è senz’altro riduttiva per un lavoro teatrale C’era una volta il ’68 che, sebbene ricco di luci e di suoni, di costumi sgargianti e di perfetti movimenti coreografici  (quasi una sorta di “Hair” in versione riveduta e corretta…), è, in realtà, come ogni lavoro di Cerciello, un vero e proprio detonatore che da il via ad un’esplosione di idee, sensazioni, ricordi, riflessioni sulla grande utopia che il ’68 rappresenta nella memoria di tutti ma, soprattutto, sul ’68 come momento paradigmatico nella storia nel quale realmente si stava per dare l’assalto al cielo…

La rivoluzione culturale, politica, sociale che investì il mondo in quel periodo segnò una svolta, un mutamento irreversibile e partì proprio dai giovani: il flower power, il rock come trasgressione e forza mitopoietica capace di sovvertire un sistema paludato, la liberazione sessuale e l’emancipazione delle donne “angeli del focolare” e quant’altre sciocchezze l’immaginario maschile borghese abbia mai potuto partorire, soprattutto l’anelito di pace e giustizia unirono il mondo studentesco ed il mondo operaio in un movimento che interessò tutto il pianeta. Gli eventi che giunsero a maturazione nel ’68 in realtà iniziarono negli Stati Uniti già nella prima metà degli anni Sessanta, caratterizzati da un diffuso benessere materiale nel mondo occidentale esploso con la “società dei consumi” nella quale il mondo capitalista indicava come valori centrali il denaro ed il mercato, a costi indicibili per l’uomo ma anche per la natura, così come, nello stesso periodo, nell’Europa dell’Est o del cosiddetto socialismo reale andavano maturando sempre maggiore disagio e dissenso nei confronti di modelli statali burocratici ed autoritari. In Italia, come sempre accade per i grandi fenomeni sociali e culturali, il ’68 arrivò in ritardo ma fu preceduto nel ‘66 da un evento che sconvolse l’Italietta ipocrita e benpensante dell’epoca, lo “scandalo” del giornale studentesco “La zanzara” al liceo Parini, nel cuore della Milano borghese: per la prima volta, in un giornale studentesco, si osava parlare di sesso (!) e di condizione della donna.

Cerciello prende spunto dal testo di Jacopo Fo, “C’era una volta la rivoluzione” e miscela un’irresistibile colonna sonora con richiami agli eventi politici che trasformarono il mondo nel decennio 68/77 e che si riverberarono in Italia. La scena, al teatro Elicantropo di Napoli, apre sull’incontro dei liceali in un’aula ormai trasformata in collettivo politico, piena di scritte di protesta e di immagini di Che Guevara e Mao ed al centro la mela della Apple, etichetta discografica dei Beatles, vera colonna sonora di una generazione. Insegnanti sordi ai cambiamenti, impreparati a gestirli e a dare risposte complesse ai giovani, adulti che rifiutano un nuovo modo di vedere la famiglia, il microcosmo, il villaggio globale, politici che hanno reagito con la repressione, il muro contro muro: questo lo scenario da ribaltare. Si intrecciano amaramente i giochi di potere e se il mondo vive la guerra del Vietnam e il sacrificio inutile di tanti giovani vite l’Italia vivrà i cosiddetti “anni di piombo”, con le stragi impunite, la strategia del terrore, gli scontri con i fascisti, il rifiuto dell’ipocrisia e di modelli sociali opprimenti e vetusti. Il nutrito cast di giovani e bravi attori è composto da Mario Autore, Gianni Caputo, Roberta Carotenuto, Fabrizio Cavaliere, Monica Cipriano, Cinzia Cordella, Eduardo Di Pietro, Annalisa Direttore, Giovanni Esposito, Giulia Esposito, Stanislao Guarino, Giosella Iannaccone, Cecilia Lupoli, Gennaro Monforte, Maria Teresa Palumbo, Alessandro Paschitto, Tonia Persico, Maddalena Stornaiuolo, Rosa Varriale. Colorati e vestiti in perfetto stile anni ’60 con i bei costumi di Daniela Ciancio, gli attori cantano, ballano, raccontano quegli anni e le loro emozioni, la rabbia e i sogni, la necessità di cambiare le cose e di ampliare i propri orizzonti. La torrenziale colonna sonora del lavoro teatrale, intercalata dalle musiche originali di Paolo Coletta, passa per Beatles e Rolling Stones, Jimi Hendrix (“Hey Joe”) e Led Zeppelin (“Whole lotta love”), Cream (“Sunshine of your love”), Creedence Clearwater Revival e Vanilla Fudge, Spencer Davies Group (“Gimme some lovin”), passando per i New Trolls (“Concerto Grosso”, “Davanti agli occhi miei”), Patti Pravo, Monkees  (“I’m a believer”), Caterina Caselli, i Rokes  (“Che colpa abbiamo noi”),  Procol Harum (“A whiter shade of pale”). Sullo schermo scorrono immagini di repertorio: Pasolini, Nixon, Martin Luther King, le manifestazioni pacifiche, i megaraduni musicali… I giovani citano “Il gioco del mondo” di Julio Cortàzar, il romanzo che ha cambiato tante vite, e il cinema di Pasolini, Petri, Costa Gavras, Godard, i Nice di Keith Emerson  che il 10 luglio, in pieno concerto alla Royal Albert Hall, bruciarono la bandiera a stelle e strisce “in segno di protesta per l’ignobile guerra in Vietnam”. In Italia imperversano la tv pubblica dei partiti e le canzonette innocue e soporifere, con rima “amore e cuore” e sullo schermo scorrono immagini nobili di donne scese in piazza per manifestare e conquistare diritti negati e di soubrette del tempo presente tatuate e volgari nella loro corsa al successo, corpi femminili ridotti a mero oggetto di consumo, per un pubblico sempre più anestetizzato e assuefatto a un potere sottile e pervasivo.

Siamo oggi condannati al virtuale, al surreale – spiega Cerciello – non abbiamo più ideali in cui credere e annaspiamo disperati dentro i nostri computer; oggi le rivoluzioni sono miraggi inconsistenti, che nascono e muoiono in real time, naufragando nel mare del populismo e dell’opportunismo mediatico. Allora non fu così e qui proviamo a raccontarlo con un sorriso, come una favola rock”. C’era l’utopia di reinventare la società e tutto sembrava possibile, un movimento con un enorme potenziale che contagiò tutti i giovani, traditi, sconfitti. Alla fine dello spettacolo gli attori tolgono orpelli e parrucche per elencare i morti di politica dell’epoca che ancora fa discutere e divide ed è spesso strumentalizzata da molti di quegli stessi ex protagonisti che ne sono diventati i più accaniti detrattori. Si recita e canta anche “L’addio al Novecento” di Michele Serra con una dedica a Renato Nicolini che incarnò lo spirito utopico e creativo. Un bel lavoro di Cerciello che, al solito, legge con acume e originalità eventi ed emozioni che non ci si stanca mai di ritrovare, verstehen del tempo presente.

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