Una lezione eterna

Angela Matassa

Giorgio Albertazzi
Giorgio Albertazzi

Uno spettacolo applaudito dovunque in Italia dove è approdato dopo Parigi. Le Lezioni americane di Italo Calvino vanno in scena al teatro Troisi di Napoli dal 24 al 27 ottobre. Ne è protagonista un signore della scena, il novantenne attore Giorgio Albertazzi, rappresentante di una generazione irripetibile di artisti: quelli del dopoguerra, dove era in compagnia, tra gli altri, di Gassman, Buazzelli, Salerno, Orsini, Sbragia.

In scena con lui la violoncellista Anca Pavel e la sua assistente Stefania Masala. Un professore prepara nel suo studio una lezione sulla leggerezza, affiancato da un’allieva che discute con lui e lo riprende con la videocamera mentre parla. Così si svolge lo spettacolo, che compie tredici anni, tra filmati di vecchie sue interpretazioni teatrali e cinematogrfiche, in una sorta di scambio di ruoli tra Calvino e Albertazzi.

“L’idea fu di Maurizio Scaparro – spiega Albertazzi – e fu realizzata nel 2000 a Parigi, con il regista Orlando Forioso si decise di mettere in scena la conferenza sulla leggerezza. I francesi hanno adottato Calvino, lo adorano. Il successo della prima mondiale fu straordinario, così la portammo in Italia, prima a Taormina e poi in giro ovunque. E’ sempre accolto con favore. C’è tensione, silenzio durante la rappresentazione e dopo, vengono a trovarmi in camerino in tanti, anche giovanissimi. Cosa succede? Mi sfugge. Forse ho raggiunto l’ultramaturità. O è la materia stessa dell’autore? Certo, quando l’arte è alta è leggera e si esprime in modo semplice”.

Come è cambiato lo spettacolo nel tempo?

“E’ un work in progress. Le conferenze Calvino doveva presentarle all’università di Harvard (primo italiano)  come proposte per il prossimo millennio, dopo tredici anni dal suo inizio le cose sono cambiate, quindi parlo della tragedia delle torri gemelle, del dramma dell’immigrazione. Ma recito sempre Kafka, Shakerspeare, Cervantes, Dante, Cavalcanti, Lucrezio, Ovidio, Borges, Cirano, Leopardi, tutti citati da lui, tranne la Yourcenar. Di lei ricordo “Le memorie di Adriano”, un personaggio e uno spettacolo che amo molto”.

Secondo lei, c’è leggerezza nel nostro quotidiano?

“Ce n’è ogni tanto, con l’umorismo alto ma non con la buffoneria, che è pesante. In Shakespeare malinconia e umorismo, per esempio, sono inseparabili, anche nei momenti drammatici e questo lo fa grande”.

C’è un suggerimento, un consiglio che rimandate allo spettatore?

“Nello spettacolo ci chiediamo che cosa abbiamo messo e che cosa abbiamo trovato nel secchio (che è quello kafkiano). Niente, anzi abbiamo portato cose pesanti. Come uscirne? Ecco la proposta: provare ad essere leggeri. La leggerezza non è superficialità, anzi è precisione, determinazione, è il respiro della poesia”.

Torna volentieri a Napoli?

“Sì, sempre. Mi piace la città e spero che abbia fortuna anche nella Champions”.

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