Per tutte le scorse Olimpiadi di Parigi e nelle successive paralimpiadi ha tenuto banco la questione dell’inquinamento della Senna, il fiume che attraversa Parigi, deputato ad accogliere le gare di Triathlon e di nuoto in acque libere. Paradossalmente pochi mesi prima sulla piattaforma Netflix un film già alimentava timori e perplessità sui tuffi sotto il Pont Neuf: Under Paris – Sous la Seine porta all’ombra della Tour Eiffel un pericolo però più grande della carica batterica di Escherichia coli, ovvero uno squalo gigante in piena attività riproduttiva per partenogenesi (non ha nemmeno bisogno di accoppiarsi).
UN DISASTER MOVIE NELLA SENNA
Il regista Xavier Gens regala così alla Ville Lumiere il suo primo disaster movie in pieno stile americano. E gli stilemi dei migliori (o peggiori) blockbuster americani sul tema, solitamente ambientati tra New York, Chicago e Los Angeles, ci sono tutti. Ma al posto di tornado, terremoti, glaciazioni, eruzioni, Godzilla o King Kong di turno, c’è uno squalo enorme. Un mako, anzi forse una nuova specie che ha trovato nell’ecosistema delle catacombe allagate parigine il suo nido ideale, proprio come il lucertolone che arrivava a New York dalla Polinesia francese radioattiva per deporre le sue uova geneticamente modificate.
BERENICE BEJO E LO SQUALO DI PARIGI
A condurre questa nuotata cinematografica ci pensa l’attrice francese di origini argentine Berenice Bejo, la quale dopo la nomination all’Oscar più di 10 anni fa per The Artist e un bel po’ di cinema d’autore europeo (di recente l’abbiamo vista nell’ultimo film di Piero Messina con Gael Garcia Bernal), ha deciso di cedere alla tentazione del filmone da popcorn. Seguendo le orme delle colleghe di Hollywood vincitrici di Oscar o nominate alla statuetta. Ovviamente la Bejo fa quel che può, ma la recitazione è generalmente piatta per tutto il cast. Persino lo squalo Lilith è più espressivo e convincente della sindaca di Parigi, chiara ed evidente parodia della Hidalgo, la vera prima cittadina della capitale dell’Esagono, che ha fatto persino il bagno nella Senna prima dei Giochi Olimpici per sfidare i detrattori.
STILEMI DEL GENERE E L’ECO DELLE OLIMPIADI
Si comincia con un incidente nell’Oceano Pacifico, accanto a una delle più grandi isole di plastica di questo pianeta, dove Sophia, la ricercatrice marina interpretata da Bejo, incontra lo squalo ipertrofico per la prima volta. A farne le spese è il suo team, generando il classico doloroso ricordo del passato che poi ritorna.
Poi è la volta dell’ottusità del potere, della polizia e del Comune di Parigi, preso solamente dalle imminenti gare di Triathlon preolimpiche del film: già tutto visto all’ombra della Casa Bianca o della Statua della Libertà in una pellicola di Roland Emmerich. Non possono mancare le attiviste estremiste così a favore dell’ambiente da organizzare autentici buffet di ecologisti per lo squalo e i suoi cuccioli: la generazione X che intercetta maldestramente Lo squalo di Spielberg.
E poi è il turno della missione per salvare il salvabile, proprio mentre gli atleti sono impegnati a solcare le acque dell’antica Lutetia Parisiorum, il cui motto Fluctuat Nec Mergitur (“sbattuta dalle onde ma non affonda”) viene messo a dura prova dallo squalo in dolce attesa e dalle forze dell’ordine, in un finale farcito di effetti speciali. Fa effetto vedere Parigi nelle ultime inquadrature, ma fa ancora più effetto pensare a cosa sarebbe accaduto al Comitato Olimpico Internazionale se davvero uno squalo avesse arrecato più danni dei batteri fecali ad agosto scorso.