
Al Teatro Politeama di Napoli in scena ST/LL di Shiro Takatani. Tra i più visionari video-artisti del panorama mondiale, Takatani ha ideato uno spettacolo complesso, poetico, danzato/raccontato sull’acqua, con una clessidra inesorabile e un gioco di proiezioni di luci ed ombre, di sensazioni, di riflessi di vita.
Nato a Kyoto, Takatani si è diplomato all’Università delle Arti e fondato il collettivo artistico Dumb Type nell’ ’84, occupandosi in particolare degli aspetti visuali e tecnici. Dumb Type mette insieme numerosi artisti giapponesi provenienti da vari ambiti performativi, teatro, musica danza e arti visive. Sperimentatore, il videoartista ha creato nel 2007 un’installazione davvero particolare, Life – fluid, invisible, inaudible, in collaborazione con Ryuichi Sakamoto. Ha curato la regia di diversi spettacoli performance ed esposto da Melbourne a Parigi, ricevendo prestigiosi riconoscimenti. L’immaginifico, delicato spettacolo che ha presentato al Napoli Teatro Festival, al Teatro Politeama, indaga il tempo, è un Sein und Zeit contemporaneo, che riporta all’essenza delle cose: le azioni quotidiane, reiterate, gli oggetti quotidiani, i gesti quotidiani, la mela color vermiglio, magrittiana, sono mostrati/capovolti attraverso uno schermo gigante.
Lo spettacolo apre su un lungo tavolo apparecchiato in scena. Uno schermo di proiezione si sviluppa in verticale, come un dipinto. Il palco è ricoperto da uno strato d’acqua che dà l’effetto di uno specchio e contemporaneamente offre una dimensione impalpabile, sfumata. Un uomo sposta le vettovaglie, le sedie e tre donne entrano in scena mimando un pasto con movimenti meticolosi, sincroni. La colonna sonora è amniotica, con musiche di Ryuichi Sakamoto, Marihiko Hara, Takuya Minami, soundscape che scandisce i movimenti scenici, le azioni che portano a scomporre il tavolo e a trasformarlo in tre tavoli sui quali si distendono i performer. Colpisce l’occhio e la mente la riproduzione dei movimenti degli attori sullo schermo. Il suono elettronico diventa un beat ripetitivo/ossessivo, profondo e greve, flusso di coscienza, per intrecciare suono e immagini, corpi e menti. E i corpi dialogano con le silhouettes che si muovono dietro lo schermo, costante impermanenza di persone, luoghi, oggetti. Forchette, coltelli, libri, sedie, chiavi cadono come foglie avvizzite d’autunno, proiettate dallo schermo. Colpiscono i movimenti della danzatrice che disegna gesti nell’aria, immersa nella nebbia, anch’essa diafana, ombra proiettata su un tempo immaginato. Tutto si trasforma, e il delirio umano è quello del per sempre, dell’eterno, del tangibile. “Saranno mai in grado l’arte o la scienza di rappresentare questa gigantesca clessidra che è il mondo, i cui granelli di sabbia cadono ad ogni impercettibile cambiamento?”, si chiede il regista.
Un lavoro interessante, nuovo, poetico, nelle corde di un festival innovativo e di ricerca di linguaggi che parlino al contemporaneo.