VIAGGIO IN TRENO

Redazione

Riceviamo e volentieri pubblichiamo questi racconti

scritti da un personaggio amato del pubblico televisivo,

teatrale e cinematografico:l’attrice napoletana Rosaria De Cicco,

che si cimentanella scrittura e ci comunica due esperienze personali.

La ringraziamo per il contributo di riflessione e analisi che ci offre

 

Personaggi: Rosaria, Amico incontrato in treno, Mamma, Figlio.

“Tu lo sai che in treno non si fuma neanche in bagno, vero?” gli dico. Gentilmente, però. Tutto d’un fiato, questo sì. Ma con calma. Dopo che lui si era alzato dal suo posto nascondendo in una mano la sigaretta mentre sua madre gli passava molto furtivamente l’accendino nell’altra. E io l’avevo vista. E lei mi guardava mentre la guardavo. E glielo ha passato con più cautela. E dovevo capirlo il tipo. Subito. “Ma pecché nun te faie ‘e cazze tuoi?” è l’elegante risposta del ragazzino. Precoce nella virtù quanto nell’educazione. Non sono di buonumore. Il mio amico incontrato sul treno è il mio vecchio ufficio stampa che da mezz’ora mi sta informando su tutti gli impegni di film e fictions dei miei colleghi e colleghe. Considerando la mia situazione attuale non è proprio il massimo della compagnia. Quindi mi alzo minacciando di chiamare il controllore e poiché il bastardo si dirige verso il bagno mi fiondo dietro di lui alla ricerca del ferroviere. Ma per fortuna la toilette fa schifo e lo stronzetto si ferma imprecando sempre nel forbito linguaggio dantesco. “Senti, è meglio se ci rinunci, c’è una legge che te lo vieta e se tua madre non te lo ha insegnato allora te lo dico io che esiste una cosa che si chiama rispetto e se non lo capisci allora il capotreno lo chiamo davvero”. Mi guarda colpito. Per un attimo mi sembra di aver risvegliato un barlume di coscienza nel neurone che gli vaga nel cervello. Ma è solo un attimo. Mentre torna al suo posto e si risiede davanti a sua madre “Ma pecchè aggia acchiappa’ sempe a chisti leccapalle….”. E lì forse avrei dovuto lasciar perdere. Riprendere a chiacchierare inutilmente con l’ufficio stampa. Pensare che ha ragione quel mio amico che è andato a vivere su al nord e per il quale noi tutti siamo senza speranza o quasi. Insomma fare quello che avrebbe fatto chiunque. Chiunque non sia me che invece mi rialzo in piedi con la rabbia che mi esce dalle orbite perché vedo in quell’ameba tutti gli adulti del futuro inguaiati da genitori inutili. Come questa madre che mi dice che sono io che ho bisogno di una camomilla e non suo figlio di un ceffone da voltargli la faccia. E che anche quando mi risiedo ormai stanca continua a inveirmi dietro la nuca che chi mi credo di essere che voglio fare cambiare il mondo che mi metto a competere con un ragazzino di quindici anni (in realtà piccolo energumeno stile gomorra che ne dimostra cinque in più). Non le rispondo più. Lei continua ad urlare e a difendersi il futuro cammorrista. Io provo a cercare lo sguardo del mio, si fa per dire, amico che improvvisamente è impegnatissimo a messaggiare. Mi rifugio nell’editoriale di Travaglio convincendomi che comunque ho fatto bene perché la puzza di fumo che esce dai bagni quando si fuma di nascosto fa schifo. Ma nessuno dice niente.

Rosaria De Cicco

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