Come fosse scritto oggi. Il monologo di Manlio Santanelli Virginia e sua zia torna in scena venti anni dopo la prima, rappresentato al Nuovo Teatro Sancarluccio di Napoli dal 30 ottobre all’1 novembre. Interpretato dalla stessa Gina Perna che ne vestì i panni allora, oggi è diretto da Davide Sacco.
Sarà l’ironia, il sarcasmo dell’autore. La tagliente lingua napoletana. Sarà che la città partenopea non si modifica, in barba al tempo che passa, ma questo testo appare ancora attuale.
Virginia, sarta di studio in televisione, non bella, non straordinara, vive con una zia paralitica e sogna. Un futuro felice, un incontro d’amore, un lifting che le possa ridare freschezza. Ma come? La sopravvivenza è dura, in una piccola casa, con una malata tiranna, gli approcci falliti, la speranza di un matrimonio che sistemi le cose.
Testo, interpretazione e regia, come tasselli di un puzzle vanno al loro posto e rimandano uno spettacolo che coinvolge. La modernità della messinscena di un giovane regista come Davide Sacco rende evidenti i giochi di parola, le frasi, la sintassi tipiche della scrittura di Santanelli. Perfettamente interpretati da Gina Perna, in abito rosso e vestaglia, nei due momenti della giornata, che trasporta nei meandri mentali di una donna, oppressa da una terribile solitudine, alla ricerca della vita. Per quanto disincantata e sarcastica, a volte cinica, Virginia comincia a sperare, s’impegna, racconta e ricorda, a confronto con una vecchia (vera o immaginaria) di cui è vittima. Con i suoi fantasmi, con le memorie, i freni mentali e le difese che ciascuno mette in atto inconsapevolmente.
Arriverà il principe azzurro che l’accetterà com’è e trasformerà una condizione misera? O il prescelto si rivelerà uno dei tanti, meschino e approfittatore? Vaga Virginia con la mente, fa calcoli e mette in conto risultati, fino a perderla la testa. Oppressa tra bisogni, sensi di colpa, emozioni e desideri, sceglie la soluzione estrema. In abito da sera, indossando le mutandine rosse che le aveva regalato un vecchio attore.
Sulla scena, i vari monitor (anch’essi in attesa di un programma) non sono soltanto elementi di modernità, ma un chiaro omaggio del regista ad un autore che ha vissuto i tempi belli della televisione, quella dei grandi sceneggiati, dei massimi interpreti, che hanno fatto sognare le generazioni precedenti. Le musiche di Marco Zurzolo, che ha arrangiato le composizioni di Raffaele Viviani (Tarantella segreta, Bambenella, tra le altre) formano un tappeto musicale che sale in un crescendo come quello esistenziale della protagonista.