L’ouverture è affidata a venti giovani danzatori, poi entrano in scena i professionisti: Alessandra Petitti, Bettina Neuhaus, Giacomo Calabrese, Piero Leccese, Ursula Sabatin. La performance Improvvi_dance è il frutto di un workshop, cui hanno partecipato i ballerini che hanno aderito al bando, lanciato dall’Associazione Dissonanzen.
Sulla scena con loro, OEOAS – Orchestra Elettroacustica Officina Arti Soniche, composta da Davide Maria Viola – violoncello, Marcello Vitale – chitarra elettrica, Paolo Montella – elettronica, Raffaele Barbato – percussioni, Sandra Milena Guida – flauto.
Lo spettacolo è in programma alla Sala Assoli di Napoli, in un’unica data, domenica 12 novembre 2023, alle ore 19.
Alessandra Petitti, lei è curatrice dell’evento con Giacomo Calabrese. Che cosa deve aspettarsi il pubblico?
“Si può scoprire soltanto in teatro, al momento. La direzione che può prendere la performance è imprevedibile. Non si sa da prima dove andrà la musica, che colore prenderà l’insieme di suono e movimento”.
Parte prima la musica o la danza?
“Partono insieme. Può essere lanciata una nota e il danzatore risponde con il gesto o viceversa. Anche lo stop è parte della coreografia, non è assenza. E’ l’intreccio delle due arti che crea l’insieme. L’una si nutre dell’altra. La relazione non termina mai”.
Il rischio sembra grande.
“Beh, è un’eventualità costante, ma è un’eventualità alla quale si può sopperire con il mestiere, con l’esperienza, ma non credo sarà necessario. Bisogna mettersi in gioco, fare il vuoto dentro di sé per essere permeabili e accogliere l’altro. Sì, certo, è come camminare sul filo senza rete”.
Parlando di improvvisazione, si pensa subito al jazz. E’ un modo simile di esprimersi?
“Credo sia molto affine a una jam session, senza standard da seguire. E’ free, sempre. E’, appunto improvvidance, quindi anche l’errore si può trasformare in giusto, perciò è comunque autentico. Un po’ come la vita: non possiamo dare niente per scontato. E’ uno sforzo di umanità, di autenticità, del vivere qui ed ora”.
Vi accoglie la Sala Assoli, un luogo ricco di memorie, che si apre sempre al nuovo.
“E’ vero, è uno spazio molto bello, che noi useremo in ogni parte. Sarà completamente aperto, senza quinte, senza scene”.
Non c’è un tema, allora che cosa resta?
“Non si tratta di narrazione, perciò non c’è una storia predefinita, eppure si va creando proprio mentre si la si fa, con la musica e con il movimento. Partendo da un imput dell’artista”.
Dunque, ogni spettacolo è unico?
“Sì, proprio così. L’instant composition è un atto creativo consapevole. L’improvvisazione mette tutto in gioco, non ci sono certezze. Ma è anche un modo per verificare la propria tecnica, quanta resistenza si ha per questo lavoro. Quindi, il rischio riguarda anche la percezione che si ha di sè”.
Questa è anche l’occasione per festeggiare il trentennale di Dissonanzen. Che cosa è cambiato in questi anni nel vostro percorso?
“Siamo partiti nel 1993 con due rassegne, promuovendo incontri di filosofia e musica. Poi si è dato maggiore spazio alla composizione, avviando collaborazioni con grandi musicisti. Infine ci siamo aperti alla danza. Ciò che manca, però, è la possibilità di avere in scena anche l’ensemble musicale: è la via di comunicazione privilegiata. I motivi sono tanti, perché da noi ancora non c’è questa chance, ma io personalmente lavoro in questo senso”.
Che cosa si aspetta o si augura?
“Credo all’idea che si possano lasciare ai tanti giovani che vogliano intraprendere questa carriera, delle strutture in cui poter lavorare e crescere stando insieme. Mi piace passare il testimone. E’ un’eredità da trasmettere a chi verrà dopo di noi. Non bisogna mollare e insistere. Noi lo facciamo, affinché i talenti restino o tornino ad esprimersi qua”.