Campania Teatro Festival: in scena Malaparte

Maresa Galli

La sezione del Campania Teatro Festival “SportOpera” cresce, di anno in anno, con le amorevoli cure di Claudio Di Palma e Vesuvioteatro. “Platone certifica l’esistenza di una complementarità fra filosofia e atletismo. – spiega Di Palma – La conferma probabilmente in base alla sua esperienza non tanto di pensatore quanto di lottatore, pare fosse cultore ed interprete del pancrazio. Elegge in questo modo l’agón, cioè il confronto, la disputa, a misura identificativa sia della lotta che del dialogo, ovvero dello strumento ideale della conoscenza filosofica. Così, proprio il dialogo, diventa la cifra espressiva comune alle tracce drammaturgiche di Sportopera23”.

Di “SportOpera” fa parte il poetico spettacolo andato in scena al Teatro Nuovo di Napoli, “L’angelo e l’automa”, nato dalla magnifica, potente, evocativa scrittura di “Coppi e Bartali” di Curzio Malaparte, che diventa radiocronaca notturna con  Francesco Montanari, per la regia di Davide Sacco. Racconto radiofonico per nottambuli di uno speaker, ripercorre le emozioni più grandi della sua infanzia. Il pubblico in sala ascolta in cuffia le sue memorie, ricordi familiari, momenti epocali dell’Italia anni Quaranta/Cinquanta, intercalati con ottima musica, da Paolo Conte a Gino Paoli, da Tom Waits ai Kraftwerk, passando per gli Stadio e altre perle dedicate a lei, la bicicletta, eroina di grandi film italiani.

CTF. “L’angelo e l’automa”

Oggi siamo tutti orfani di quell’epoca d’oro, l’epoca dei due grandi ciclisti, con la bici che appartiene all’Italia come la Gioconda o la Cupola di San Pietro. Come mai non è figlia del genio italiano, si domanda lo speaker? Ma è stata inventata dall’inglese John Starley! Fosse stato almeno un francese l’ideatore… Ma la bicicletta rappresenta il fuggire del tempo o l’eternità? “Sono molto affezionato ai campioni di ciclismo del passato”, rivela lo speaker che racconta l’entusiasmo del suo caro bisnonno Curzio, toscano, che condivideva con il nipote Franceschino la stagione delle corse, “quando le vigne s’indoravano” e in paese si attendeva tutti l’arrivo dei centauri.

La bicicletta era il primo amore di quella generazione. Ed eccoci ai due campionissimi, così magici e così distanti, Bartali con le sue visioni, quasi un mistico, che sentiva voci e canti angelici. Coppi, che era “solo” un uomo e credeva solo al suo corpo. Uno credeva nelle tradizioni, l’altro nel progresso. L’automa credeva solo in se stesso, nei muscoli – un illuminato e illuminista. I due rappresentano una disputa tra credenti e liberi pensatori, due filosofi.

Bartali l’asceta, il mistico che poteva mortificare il proprio corpo; Coppi, superomista, uomo-macchina cartesiano, un Dioniso della bicicletta, che aveva paura solo del secondo posto! Incarna il mito di Prometeo, che regala agli uomini la vittoria. Coppi, a cui, tra i ciclisti di oggi, è paragonabile solo il grande, sfortunato Pantani. Due leggende, che incarnarono lo spirito dell’Italia del dopoguerra, simbolo di rinascita e di sviluppo del Paese.

Il flusso dei ricordi riporta all’amato bisnonno, a quando donò al nipote la sua bici arrugginita, custodita in cantina, sperando che Francesco potesse superare i propri limiti, perché c’è grazia nello sforzo, c’è tanta bellezza. E Francesco, adulto, ripensa al nonno, che pedalava nudo in bici, a Capri, in vacanza, per sentirsi libero al massimo, nel suo vagabondare sovversivo cavalcando il suo Pegaso.

Ottima la regia ed emozionante l’interpretazione della scrittura di Malaparte di Francesco Montanari, che condivide la saggezza di far corrispondere lo sviluppo del fisico con “i movimenti dell’anima”, per dirla con Platone.

(foto di Anna Abet)

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