“Flaminia”, l’esordio da regista della Giraud

Renato Aiello

Michela Giraud, attrice comica romana di origini campane, è nota ai più per la sua verve negli spettacoli tv di stand up comedy, per gli sketch in rete, i podcast divertenti in cui sfoggia tutta la sua verve, e i video sull’interpretazione della Storia dell’Arte in chiave esilarante. Al cinema ha colpito il grande pubblico per le sue interpretazioni di contorno (ma di assoluto valore) in Maschile Sigolare prima, e poi nel sequel Maschile Plurale, uscito in pochissime sale qualche mese fa e dirottato subito su Prime Video. Piattaforma in cui è disponibile anche il suo primo film da regista, Flaminia.

FLAMINIA, OVVERO MICHELA GIRAUD ELEVATA AL QUADRATO

L’esordio dietro la macchina da presa e alla sceneggiatura non è stato dei più felici al botteghino, dove la pellicola si è rivelata un autentico flop ad aprile scorso. Non che sia un film brutto o mal fatto, girato o scritto ancora peggio. Indubbiamente, come ogni debutto che si rispetti, ci sono luci ed ombre e la tematica non è di certo facile, trattata un’infinità di volte al cinema con canovacci simili.

La vita di una giovane donna alle prese con un evento nuovo e inaspettato, come l’arrivo di un bambino o di un parente affetto da malattia e disabilità, che porta conseguenze e stravolgimenti di piani esistenziali, è una storia che dai tempi di Baby Boom con Diane Keaton conosce molta fortuna nella Settima Arte. La vicenda della sorella di Flaminia, la protagonista sfrontata e dalle battute fulminanti interpretata dalla Giraud, è personale, vissuta dalla stessa regista in famiglia.

La scoperta di un familiare affetto da un disturbo dello spettro autistico non è semplice da gestire su carta e sul grande schermo, figuriamoci poi nella vita privata. Ma la comicità sardonica e folgorante della Giraud, stand up comedian di razza e seguitissima sul web, riesce nell’operazione di catarsi, regalandoci una bella prova della sua Flaminia e una narrazione a tratti commovente, seppur cedendo nel secondo tempo a momenti di leggera malinconia, che frenano il climax emotivo.

UNA COMICA DI RAZZA CHE NON HA PAURA DI RISCHIARE

L’arrivo di Ludovica, sorellastra autistica ma piena di vita e di energia dopo aver appiccato il fuoco in una stanza della struttura in cui è ricoverata, nella vita della ricca e viziata Flaminia è come un dolce tornado. Un fulmine in un cielo grigio, dove tutto sembra già deciso e pianificato: amiche snob e inutili; soldi spesi in shopping, palestra e spa; fidanzato inconsistente a un passo dall’altare; suoceri spocchiosi (il compianto Andrea Purgatori e la Nina Soldano di UPAS – Un Posto al Sole, dove è la terribile Marina Giordano); una madre ossessionata da un vaso artistico costosissimo e puntualmente destinato a rompersi (Lucrezia Lante della Rovere).

Lo tsunami Ludovica costringe Flaminia a fare i conti con le ipocrisie delle sue amiche e del futuro sposo, con le poche effimere certezze della sua vita sociale e lavorativa (avvocato e assistente universitaria), e a chiedersi cosa voglia davvero per il suo futuro. Quest’opera prima affronta il disagio psichico ed esistenziale con tocco gentile e attraverso una delicata ironia ed autoironia: immensa la battuta sul digiuno di pasta alla Carbonara dai tempi del Governo Monti.

Forse il problema di questo film risiede nell’impossibilità di risolvere coi tempi comici di uno spettacolo televisivo passaggi di sceneggiatura e punti cruciali del racconto, e magari in alcuni buchi dello script (personaggi secondari stereotipati, comprimari abbozzati appena e forse privi di spessore e tridimensionalità, in pratica scritti male). Ma il film, al netto di queste osservazioni doverose, è godibile e svolge appieno il suo compito: far ridere nonostante la serietà dell’argomento. E non è poco.

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