Appartiene a una famiglia d’arte. Una famiglia “allargata”, perché Gina Perna, figlia del noto puparo Vittorio, ha sposato Gino Sacco, direttore di scena. Dalla loro unione, è nato Davide, regista di successo e direttore artistico di Narni Città Teatro. Tre generazioni di artisti, che perpetuano l’arte della scena.
Signora Perna, lei ha cominciato giovanissima con la sceneggiata. Che cosa pensa di questo genere molto maltrattato?
“Innanzitutto, non rinnego le mie origini teatrali, anzi, ne sono orgogliosa. Ho lavorato con i migliori, a cominciare da Mario Merola, con il quale sono andata anche a New York. Così ho conosciuto i fratelli Maggio, Rino Marcelli, Anna Walter, veri “animali da palcoscenico”, come si diceva una volta. Si recitava, si cantava, si ballava”.
E poi? la carriera è interessante.
“Poi, ho sentito l’esigenza di cambiare genere per poter crescere. Sono passata per il folk per giungere alla prosa. All’epoca, se si riusciva a rubare qualcosa dai grandi, s’imparava il mestiere del palcoscenico. E si migliorava seguendo i maestri. Ne ho avuti… mi piace ricordare Aroldo Tieri, Giuliana Lojodice, Sepe, Angela Pagano, Luigi De Filippo. Il talento è solo l’inizio, la spinta iniziale, poi ci si raffina. Siamo artigiani del teatro”.
Oggi, invece, come vanno le cose?
“Sono cambiati i codici. Le fiction, ad esempio, sono un prodotto nazional-popolare come la sceneggiata. Ma del resto, se si racconta bene, una storia dà comunque emozione. C’è però, un altro problema: il pubblico. E’ distratto, tanto che gli attori hanno la necessità di usare il microfono per tenerlo attento. Escono tutti dalle scuole di recitazione, sono minimalisti. Occorre passione e dedizione per riuscire. Dare fino all’ultima cellula”.
In questi giorni, lei è in scena al Teatro Instabile Napoli, con “Polveri condominiali”, un testo di Franco Autiero, che la regia di Tonino Di Ronza ha reso monologo. Parliamone.
“E’ un testo molto forte, che sento dentro. La protagonista è una donna mentalmente instabile, che soffre di manie di persecuzione. Si alterna in feroci e lucide considerazioni sull’umanità, vomitando sul pubblico espressioni in un microcosmo visionario”.
La lingua è uno degli elementi chiave di questo spettacolo. Nel napoletano di Autiero, risuonano echi di Ruccello e Moscato. Sonorità vesuviane, esplosive come le parole.
“E’ così, sono vesuviana anch’io. Questo particolare me lo rende ancora più intimo. Amo Torre del Greco come amo il mio lavoro. Sono sola in scena, a rappresentare le due protagoniste dell’originale, e i tanti condòmini dello stabile in cui Amelia/Amalia abita”.
Lei ha recitato anche in qualche film. Che posto ha il cinema nella sua vita?
“Ultimamente, ho lavorato con Mario Martone in “Qui rido io”. Sì, mi piacerebbe, certo una scrittura. C’è il teatro che occupa tanto il mio tempo, ma accetterei di entrare in un set, con piacere”.
Ed ora, i progetti. Quali sono?
“Terminate le rappresentazioni di “Polveri condominiali”, riprenderemo le repliche di “Non è vero, ma ci credo”, con Enzo De Caro e Leo Muscato. Al Teatro Cilea, da gennaio prossimo”.