di Angelo Matteo
Nella storia del cinema sono molti i registi che sono riusciti, a un certo punto della loro carriera, a dirigere un film capace di intercettare con grande precisione il momento storico, culturale e sociale. Sono molti di meno invece i registi che hanno saputo, con l’opera di tutta una vita, indirizzare le tendenze e modificare il corso della storia della loro arte.
Jean-Luc Godard è senza dubbio uno dei più grandi di questa seconda categoria di cineasta, rendendolo di fatto un unicum nella storia del cinema. Nei giorni successivi alla sua scomparsa vale la pena rivedere e riscoprire i suoi film.

La prima attività di Godard legata al cinema fu scrivere critica cinematografica, come per molti altri autori della Nouvelle Vague. Sui Cahiers du cinéma l’autore francese esponeva la sua visione del cinema e le sue idee a riguardo. Questa prima fase può essere vista come una preparazione filosofica al lavoro di regista. Godard diresse il suo primo lungometraggio nel 1960: «À bout de souffle» («Fino all’ultimo respiro»), con Jean Paul Belmondo, e cambiò il cinema per sempre. La storia di un ladro in fuga e una sua piccola relazione con un’americana a Parigi furono il pretesto per mettere in mostra l’idea di cinema che voleva realizzare.
Il giovane autore, all’epoca neanche trentenne, destrutturò la forma cinematografica classica per ricomporla a modo suo. Per tutto il resto della sua carriera, in cui diresse decine e decine di pellicole, Godard non lasciò mai i panni dell’innovatore e del provocatore, portando avanti la storia del cinema sempre con nuove brillanti intuizioni.
Il grande francese, appena scomparso per sua volontà, è stato ed è il Cinema, un uomo capace con la sua vita e la carriera di segnare indelebilmente un’arte. I suoi film, si può dire con assoluta sicurezza, resteranno per sempre e saranno visti e studiati finché sarà possibile.