“Piazza”, il documentario prodotto da Nanni Moretti
Prodotto dalla Sacher di Nanni Moretti, “Piazza” è un piccolo atto d’amore, un omaggio della sua regista, Karen Di Porto, al quartiere in cui è nata e cresciuta, alle sue origini ebraiche e a suo padre. Un piccolo viaggio attraverso i vicoli, le storie, i racconti degli abitanti di quella che veniva definita anticamente Platea Judaica sulle mappe della Roma medievale, poi racchiusa entro le mura del ghetto, teatro di una romanità verace e anche del triste destino della comunità ebraica più antica d’Europa.
Questo documentario della durata di 60 minuti, presentato sabato 2 luglio 2022 alla Casa del Cinema di Roma – nella tappa romana del SalinaDocFest, dal titolo “Diaspore incontri e Metamorfosi” – e proiettato anche lunedì 4 luglio all’Arena Nuovo Sacher di Roma di Largo Ascianghi, svela curiosità linguistiche di un borgo unico nel suo genere, una sorta di paesino all’interno della Capitale stessa, fedele a sé stesso da secoli, se non da millenni. Le sfumature del dialetto romanesco, così ricche di significato e ironia, si mescolano ai ricordi d’infanzia della Di Porto, e affascinano al pari dei nomi, cognomi e soprannomi che rigorosamente si davano i suoi “concittadini” da sempre per distinguersi nelle varie famiglie.
Da sempre perseguitati, confinati e poi persino deportati, gli ebrei romani di Piazza si interrogano sull’antisemitismo italiano e occidentale e su come e quando sia davvero iniziato, non senza qualche posizione autocritica sul loro sentimento di chiusura nei confronti del mondo. Si sorride molto nella prima parte di interviste agli anziani, memoria storica del “ghetto” (parola ancora odiata e legata a quelle che definiscono le “magagne” romane e pontificie durate 3 secoli e forse anche di più), ma poi c’è spazio per la tragedia vissuta durante la Seconda Guerra Mondiale, tra le deportazioni in Germania (su 1023 tornarono solo in 16 dai campi di sterminio), le privazioni e la fame patite durante l’occupazione nazifascista di cui molti furono testimoni, nascondendosi da conoscenti e parenti, tornando nelle case vuote e nei magazzini fermi, o trovando ospitalità nei conventi. Il dopoguerra segnerà però in un certo senso la svolta per la piccola – ma fiera – comunità israelita capitolina, con le simpatie per il nuovo stato di Israele sorto in Palestina e le lotte contro i post-fascisti e nostalgici, reduci di Salò e membri del nuovo Movimento Sociale Italiano.
Il film rappresenta un vero e proprio excursus nelle radici della sua giovane cineasta, esplorando il rapporto col padre, orgoglioso della sua appartenenza al popolo eletto fino alla recente scomparsa, attraverso luoghi della Storia come l’altopiano di Masada, simbolo di resistenza e resilienza antichissimo. E anche se le nuove generazioni mettono in discussione sé stesse e le relazioni coi vicini geografici di Israele come i palestinesi, – sulla cui questione padre e figlia hanno spesso avuto visioni discordanti – a unirli c’è sempre quell’amore inestinguibile per il popolo di Abramo.