“Juorne” è il giorno in cui una donna si innamora o in cui scopre di aspettare un figlio dall’uomo che ama, così come quello in cui lo metterà al mondo, ma il giorno può essere anche la notte, anzi la “nuttata” di Eduardiana memoria, quel momento in cui precipita la protagonista dell’omonimo spettacolo di Diego Sommaripa.
La “nuttata” che si spera passi ma che poi non passa mai, che avvolge la madre e spegne sogni e speranze per quel figlio voluto, desiderato e che purtroppo è venuto al mondo affetto da una grave disabilità. Al Teatro Oberon di via Tasso a Napoli è andato in scena il 19 e 20 febbraio scorso il racconto di una ragazza madre sola contro tutto e tutti, sedotta e poi abbandonata dal compagno, costretta a crescere suo figlio, già disabile, con tutte le difficoltà di una ragazza single. Lei che un tempo correva “spensierata su una spiaggia, rincorrendo l’amore”, e che non potrà mai vederlo fare al suo piccolo.
Sul palco solo due elementi compongono la scena, una sedia e il passeggino che la madre, interpretata dalla brava Chiara Vitiello, culla e spinge nervosamente: se la prima è espressione del suo lavoro di estetista a casa, dove attende le clienti, il secondo è l’essenza della sua vita nel monologo scritto da Sommaripa. Ad attenderla nel finale, però, ci sarà sì la sua cliente storica, ma anche un’amara sorpresa per lei e suo figlio.
Il tema della disabilità è molto sentito da parte del regista, il quale nel corso degli anni ha scritto più versioni di questa drammaturgia prima di trovare il coraggio di portarla sul palcoscenico di un teatro, ispirandosi a “Yerma” di Garcia Lorca. Nella sala di via Tasso ha preso forma un flusso di parole e memorie di una vita giovane e già molto tribolata, messa alla prova da una sfida esistenziale a cui nessuna figura materna si sottrarrebbe. Cosa ben diversa dall’atteggiamento del padre, vero convitato di pietra sul palco, scappato dai suoi doveri e perciò responsabile dello sgretolamento familiare. Tra le battute iniziali scambiate su un balcone immaginario con la dirimpettaia e quelle con la cliente “fidata” – mai aggettivo si sarebbe rivelato più inadatto, alla luce dell’epilogo – si ride e si sorride, eppure già ai primi accenni del dolore e della sofferenza patita il registro cambia e la Vitiello dimostra grande intensità, culminata nello straziante finale.
(Foto di Giancarlo De Luca)