La quattordicesima domenica del tempo ordinario è il lavoro più autobiografico di Pupi Avati, che in un certo senso, ha voluto farsi un regalo, girando un film nella sua Bologna tra passato e presente, pieno di ricordi e forse di rimpianti.
Avati ha sempre amato la musica e l’atmosfera lenta e gradevole della sua giovinezza. Un film confidenziale, dolce e amaro al contempo che evidenzia le indecisioni e le speranze della gioventù prima che la propria strada si sia manifestata in modo chiaro. In un modo o nell’altro il regista ci parla della sua vita (senza essere puramente autobiografico), delle atmosfere, degli odori, delle illusioni e delle speranze disattese, un mondo che ricorda con nostalgia e un po’ di rimpianto.
Una capacità particolare di Avati è quella di saper individuare e scegliere con grande maestria gli attori per i suoi film. Infatti un magnifico Gabriele Lavia interpreta Marzio da anziano, un uomo che non è riuscito a crescere, che vive una vita dura sempre in attesa dell’occasione che gli cambierà la vita, ma che purtroppo non arriva mai.
Per il ruolo femminile di Sandra adulta, Avati ha voluto fortemente una ritrovata Edwige Fenech che sta perfettamente a suo agio in questo difficile ruolo. Marzio e Sandra dopo anni si ritrovano in una condizione totalmente diversa, alle prese con gli acciacchi e i disastri del passato, separati ma in fine fatti ritrovare da un destino spietato, ma riparatore.
Perfetto nel ruolo del giovane Marzio, Lodo Guenzi non a caso vero musicista e la moglie Sandra interpretata da Camilla Ciraolo, con piglio e decisione.
Forse un film dedicato a chi giovane non lo è più, ma che va visto da tutti per l’alta qualità nel suo insieme e per la dolcezza con cui Avati riesce da sempre a presentare situazioni difficili mai banali.