La zona Di Interesse, l’apparente normalità del male

Renato Aiello

Spesso i campi di sterminio nazisti sono stati definiti un esperimento aberrante di uccisioni su larga scala, una vera e propria catena di montaggio industriale della morte. Allo stesso tempo risulta disturbante il tentativo della famiglia di Rudolf Höss, comandante di Auschwitz Birkenau, di vivere accanto al lager come se fosse una cosa normale: La Zona Di Interesse di Jonathan Glazer lo racconta al cinema dal 22 febbraio.

Locandina del film

VIVERE A DUE PASSI DALL’INFERNO

La Zona Di Interesse, in corsa agli Oscar 2024 per regia, sceneggiatura, sonoro, miglior film e miglior pellicola straniera (rappresenta il Regno Unito, evento raro), è un film tipicamente di regia e meriterebbe la statuetta anche solo per il suo regista. Scenografia, fotografia, recitazione, movimenti della macchina da presa, sonoro, montaggio e direzione degli attori concorrono tutti insieme a creare un’opera di cui si parlerà a lungo. 105 minuti di film che inchiodano lo spettatore alla poltrona e lo costringono a fare i conti con l’atteggiamento tipicamente umano di guardare dall’altra parte, di ignorare l’abominio del male.

Il famoso sonno della ragione foriero di mostri per tutto il Novecento e, scommettiamo (purtroppo), anche di questo nuovo secolo. In fondo non risultiamo poi così diversi dai membri della famiglia Höss, abituati alle nostre società del benessere, mentre fuori il recinto europeo avvengono massacri, affondano barconi, si combattono guerre, si scattano immagini degli orrori ucraini, palestinesi o siriani. Tutto documentato oggi dai media e dai social network che, all’occorrenza, respingiamo. Perché come loro anche noi vogliamo continuare a vivere nella tranquillità dell’ignoranza, accumulando debiti con la coscienza e con la Storia. Le quali poi verranno a chiederci il conto.

MACCHINA DA PRESA E SUONI

Quello che colpisce subito è il minuto di solo audio con cui si apre La Zona Di Interesse, una colonna sonora scritta da Mica Levi, che evoca le urla di dolore e l’atroce sofferenza. Qualcuno potrebbe temere a un problema della proiezione, a un errore come quello capitato a The Tree of Life di Malick una decina d’anni fa in una sala romagnola. Niente di tutto questo. Il lavoro musicale, tra effetti e montaggio sonoro, è straordinario, ipnotico. Ci si chiede subito come abbiano potuto delle persone abituarsi a sentire ogni giorno spari di esecuzioni e urla strazianti. Per non parlare degli onnipresenti pennacchi di fumo dai camini dei forni crematori, o dei lampi di fuoco notturni improvvisi. Il male che non dorme mai, la fabbrica incessante della morte su larga scala, implacabile e inarrestabile.

La quotidianità della piccola famiglia borghese, orgoglio del grande Reich hitleriano, è ripresa da ogni angolazione possibile della casa e nello splendido giardino creato dalla brava moglie tedesca (Sandra Huller). Un gioco incessante di campi, controcampi e scavalcamenti di campo che restituisce l’ossessione tutta teutonica per la precisione e per la meticolosità: caratteristiche che contribuirono non poco al successo della Soluzione Finale.

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