“L’occhio che uccide”: tra voyeurismo e terrore

Alberto Tuzzi

IL CAPOLAVORO DEL REGISTA INGLESE  MICHAEL POWELL E’ DEL 1960

Mark (Carl Boehm) è un cineoperatore che arrotonda il bilancio scattando foto porno per un giornalaio di Londra. La sua ossessione per la paura e la morte è, forse, causata da una  traumatica esperienza infantile: il padre psichiatra (Michael Powell), lo usa come cavia per i suoi esperimenti sulle reazioni alla paura. Mark conosce Helen (Anna Massey), che ne è attratta, ma la madre cieca di Helen (Maxine Audley) intuisce la vera natura di Mark, innescando la catena di eventi che conducono al tragico finale.

Locandina del film

“L’occhio che uccide” (Peeping Tom, 1960), del regista inglese Michael Powell, è un saggio sulla visione e sul cinema come pulsione necrofila e bisogno morboso di contemplare, che lega Eros e Thanatos, orrore e pornografia e svela inquietudini, violenza e terrore nascosti nella quotidianità. È un film sull’ossessione della visione, come i due capolavori di Alfred  Hitchcock “Una finestra sul cortile” (Rear Window, 1954) e “Psycho” (Psycho, 1960), in cui lo spettatore osserva i protagonisti che, a loro volta, osservano scene terrificanti o spiano altre persone.

Scritto da Leo Marks, il film di Powell, girato in tempi record e con basso budget, contiene molti riferimenti al mondo del cinema, lancia stoccate feroci al perbenismo inglese e ha molte citazioni personali: la giacca marroncina e il montgomery indossati dal protagonista sono per anni la divisa di Powell e il regista, non senza autoironia, appare nella parte del padre sadico, mentre il figlio Columba interpreta Mark bambino. Capolavoro del cinema visionario, realizzato, grazie anche alla fotografia di Otto Heller, con grande abilità tecnica e con notevole raffinatezza psicologica, è uno dei titoli più importanti del cinema britannico.

Clamorosamente sottovalutato alla sua uscita, è un punto di svolta per il thriller moderno e per il cinema dell’orrore e, nel tempo, è diventato uno dei film più imitati della storia del cinema. Maestro del melodramma e del technicolor, Michael Powell realizza sempre opere e storie bigger than life, che esaltano la visione, creando un cinema spettacolo all’ennesima potenza. Mix di teatro e letteratura, pittura e poesia, che vuole dare senso alla grandezza dello schermo e alla luce che vi è proiettata, al servizio di una realtà “altra”, che può esistere solo sulla pellicola. Powell nei suoi film reinventa il mondo, lo riscrive, ne esalta l’essenza. Grazie anche alla collaborazione di grandi direttori della fotografia, grandi scenografi e grandi attori, il cinema di Powell è un’arte a tutto tondo, che lascia una ricca eredità e una lezione indimenticabile, rilanciata non a caso alla fine degli Anni Settanta da grandi registi con cui collabora, come Martin Scorsese e Francis Ford Coppola.

Il protagonista Mark in una scena del film

Powell afferma dunque il diritto del cinema di essere anzitutto, e sino in fondo, Cinema.

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