Un’attrice di gran livello e un testo d’impatto per l’apertura della sesta stagione della rassegna estiva Pompei Theatrum Mundi, promossa dallo stabile parteopeo. Sarà, infatti, Isabella Ragonese la protagonista di Clitennestra. In scena al Teatro Grande del Parco Archeologico di Pompei il 16 e 17 giugno 2023. Uno dei tre testi in programma, che affrontano il tema della maternità.
Lo spettacolo è diretto da Roberto Andò ed è tratto dal romanzo La casa dei nomi del 2017 di Colm Tóibín. In scena anche Ivan Alovisio (Agamennone), Arianna Becheroni (Ifigenia), Denis Fasolo (Achille), Katia Gargano (donna anziana del popolo), Federico Lima Roque (Egisto), Cristina Parku (Cassandra), Anita Serafini (Elettra).
Per il coro: Luca De Santis, Eleonora Fardella, Sara Lupoli, Paolo Rosini, Antonio Turco. Impianto scenico e luci di Gianni Carluccio; costumi di Daniela Cernigliaro; video di Luca Scarzella; suono di Hubert Westkemper; coreografie di Luna Cenere.

«E’ la storia – commenta il regista – di una madre che fa del desiderio di vendetta l’unica, dolorosa ragione della propria vita. In questo magnifico testo del grande scrittore irlandese le figure classiche della casa degli Atridi, Clitennestra, Agamennone, Ifigenia, Elettra, Achille, Egisto, sono sottoposte a una sapiente, quanto inesorabile, umanizzazione. I loro pensieri e progetti, le loro speranze e disperazioni sono ormai unicamente mortali. L’orizzonte degli dei è svanito».
«Riabilitata» da filosofi e scrittrici, Clitennestra è rimasta a lungo il prototipo dell’infamia femminile. La sua vicenda è giunta a noi soprattutto grazie all’Orestea, la trilogia (Agamennone, Coefore ed Eumenidi), in cui Eschilo, nel 458 a.C., celebrò la fine del mondo della vendetta e la nascita del diritto. “Nel romanzo di Tóibín, – prosegue il direttore artistico – la tragica storia di rancore e solitudine, di sangue e vendetta, di passione e dolore è narrato da tre punti di vista. Ma soltanto le due donne, Clitennestra e Elettra, raccontano in prima persona e la loro voce è decisamente la più drammatica. Qui, finalmente, si trovano dispiegate le sue ragioni umane”.
“Tóibín non dà giudizi, – conclude Andò – accoglie la potenza emotiva che scaturisce da questo personaggio e ne esplora le azioni, confrontandole con le parole che adopera per far luce nel buio della sua interiorità danneggiata. Ne nasce un teatro di ombre, di voci, di fantasmi, che si muove dentro e fuori. Dentro, tra i labirinti della mente, fuori in un luogo senza tempo dove vivi e morti dialogano senza requie».