Era dai tempi di Non essere cattivo che Alessandro Borghi e Luca Marinelli, due tra i migliori attori italiani del panorama attuale e della loro generazione, non lavoravano insieme.

Per Le otto montagne sono tornati a regalarci l’ennesima maiuscola prova d’attori, in una vera e propria gara di bravura congiunta che avrebbe meritato un David ex aequo per il migliore attore (andato invece all’altrettanto ottimo Fabrizio Gifuni di Esterno Notte).
Ai David di Donatello 2023 il film diretto da Felix Van Groeningen e Charlotte Vandermeersch, e tratto dall’omonimo romanzo di Paolo Cognetti, si è aggiudicato però 4 statuette, tra cui quelle pesanti alla sceneggiatura non originale, firmata dai due registi, e alla migliore pellicola, già vincitrice del premio della giuria a Cannes 2022.
Uscito nelle sale a fine 2022 per sopravviverci, come troppo spesso accade, poche settimane, il film è adesso disponibile su Sky Cinema e merita assolutamente una visione.
Non solo per i due interpreti già citati, calatisi nei personaggi adulti di Pietro e Bruno a meraviglia, ma anche per il sapiente lavoro di regia, in perfetto equilibrio tra il racconto lirico della natura alpina e l’introspezione profonda nell’animo dei due uomini.
Due ragazzi così diversi, eppure simili nella voglia di esplorare passi e sentieri alpini, separati poi dalle vicende personali. Per poi ritrovarsi adulti, ognuno col proprio vissuto alle spalle, e riscoprire il fuoco di quella sacra e genuina amicizia che aveva avvicinato, temporaneamente, il bambino delle montagne (Bruno) alla città, e che aveva distratto quello di città (Pietro) dai dissidi e conflitti paterni, divenuti poi insanabili col tempo.
Sarà proprio la morte del padre di Pietro a farli incontrare e a riavvicinarli, complice la baita da ristrutturare, lasciata in eredità a entrambi i ragazzi, fratelli inconsapevoli scelti dalla vita. Bruno, infatti, aveva trascorso del tempo col padre di Pietro, frequentandolo come un figlio adottivo.
Pietro, invece, aveva tagliato i ponti con la figura paterna (il sempre bravo Filippo Timi), arrangiandosi con piccoli lavori per tirare avanti, senza portare a termine il suo percorso di studi e coronare i sogni di scrittore.
Sogni che si compieranno anche grazie alla ritrovata amicizia con Bruno e all’impresa comune di ricostruire l’antico rudere tra le montagne, per renderlo finalmente abitabile. Un luogo di ritrovo, confronto e anche scontro.
Le otto montagne che Pietro visita intorno al mondo e in particolare in Nepal, dove trova finalmente ispirazione per la sua carriera letteraria e anche l’amore, fanno da contraltare all’unica montagna che Bruno possa concepire: quella isolata e chiusa in cui è cresciuto e desidera morire. A costo anche di mandare all’aria famiglia, figlia e affetti, nonché l’amico, pur di non cambiare di una virgola la sua burbera mentalità valdostana.
Fino all’estremo sacrificio, in un epilogo che lascia lo spettatore di sasso, e che rievoca – forse – quella sepoltura celeste citata una sera da Pietro sotto le stelle all’amico.