ENZO GRAGNANIELLO

Maresa Galli

Grande entusiasmo al teatro Bellini di Napoli per “L’erba cattiva… non muore mai” con Enzo Gragnaniello, Luigi Di Fiore e il quartetto musicale composto da Erasmo Petringa al violoncello, Ezio Lambiase alla chitarra, Emidio Petringa alle percussioni, Attilio Pastore alle percussioni a fiato.

Incontriamo Enzo Gragnaniello.

Un grande successo a Napoli ma anche a Roma, al teatro delle Vittorie, dove lo spettacolo è stato molto apprezzato: qualcuno è tornato più sere, forse per trovare una Napoli lontana dall’oleografia.

“Si, lo spettacolo è napoletano ma potrebbe essere anche inglese; arriva come energia. E’ uno spettacolo che ha una sua alchimia”.

Come è nato l’incontro con Luigi Di Fiore?

“Me lo ha fatto conoscere Armando Fusco, produttore dello spettacolo, ed ho avvertito subito un feeling. Luigi evidenzia l’accento milanese, ma non rappresentiamo due “etnie”. Lui non fa il milanese convinto ma è semplicemente un artista che cerca, con me, di creare uno spettacolo. E così nascono le situazioni”.

Proponete una musica dal sapore mediterraneo ma anche i classici, come “Indifferentemente”, che vivono di nuova vita

I musicisti non si limitano a seguire il programma, mettono la propria sensibilità al servizio delle canzoni. E questo al pubblico arriva”.

“Oggi c’è un grande ritorno alla musica etnica, alla riscoperta delle tarantelle, delle pizziche: come va letto il fenomeno?”

“Fintanto che riesci a prendere dalle etnie la parte sacra della musicalità, va bene. Purtroppo oggi tanti si dedicano al folk perché è tornato di moda. È una musica che ha una propria ritualità,va fatta da chi le ha dato vita, da sciamani, capaci di riportare gli umori dei luoghi nei quali alberga la poesia”.

Nello spettacolo ripropone “’A Flaubert”, la canzone di Scià Scià: Dario Fo dice che sono ancora troppe le morti bianche in Italia: ne condivide il pensiero?

“ Bisogna capire che finché c’è sfruttamento sul lavoro ci saranno morti. Gli operai muoiono perché non c’è amore da parte del potere”.

Lei ha sparato a zero contro la cultura che oggi tende al basso, è troppo spesso pilotata…

“Si, perché ci sono troppi servi… Come certa stampa. Non va bene; oggi non abbiamo più tempo, c’è bisogno di verità. La dignità la devono avere anche i ricchi. Esiste un dislivello sociale esagerato. Se fossi un politico mi vergognerei ad avere una società ingiusta. Mentre le persone intelligenti guardano il mare, i furbi prendono il potere. Uno intelligente non vuole il potere, vuole essere libero. Stiamo rovinando il mondo che è solo dell’apparenza. Nel mondo ingiusto il povero è esasperato ed un uomo esasperato perde la dignità e non può far bene neanche alle piante”.

Nello spettacolo rendie omaggio a Mimmo Modugno, un grande “che abbraccia il cosmo”.  

“Si, era un grande artista, ma anche chi sa stringere bene la mano è un artista; quando metti l’anima in ciò che fai sei un’aquila. Tutti gli altri sono galline…

Sta per girare un film, per la regia di Carlo Luglio, nel quale avài un ruolo esoterico…

 “Le radici all’inferno e i rami nel cielo”, è un film-documentario. Poi girerò un film vero e proprio, “Ladri di cardellini”, la storia di un bracconiere, bella e poetica”.

Sta registrando un nuovo album che si avvale anche di  Paolo Fresu: torna al jazz?

“Il jazz non significa altro che libera espressione musicale. Il mio modo di cantare è jazz, blues, rock, rituale, sciamanico… Le etichette sono limitate. Quando canto mi sento come Coltrane che suona il sax. Tutto quello che viene dal cuore, dalla pancia, è jazz. Il jazz è un modo di essere, non significa fare le scale, i virtuosismi. Il mio modo di essere è rock, perché sono libero: la gente ha bisogno di verità”.

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