Franco Oppini

Maresa Galli

Franco Oppini è Gianni Rodari, nello spettacolo “Gianni Rodari. Un’intuizione fantastica”, che lo celebra quest’anno in molte città, tra cui Napoli.

Oppini, come ha scelto di interpretare il grande narratore?

“Rodari ha scelto me. È un personaggio talmente importante che bisogna prenderlo con le pinze. La sua poliedricità, facilità nell’eloquio, fanno sì che lo senta vicino. Torna bambino per riuscire a parlare al bambino che non deve essere oggetto ma soggetto dell’insegnamento. Ho letto il testo che mi è piaciuto subito e so come scrive Luca Pizzurro, autore regista di “Gianni Rodari. Un’intuizione fantastica”: mi fidavo già a scatola chiusa. Sa scrivere molto bene e toccare corde profonde dei sentimenti. La tematica di Rodari è quella di tornare al ricordo di bambini, alla sua infanzia, per riuscire a parlare ai bambini; ricorda il padre, l’odore del pane, della legna che brucia – la memoria permea tutto il testo. Anche a me ha suscitato ricordi della mia infanzia, di mio padre e della mia famiglia. La sua storia mi ha suscitato i ricordi della mia famiglia. Con gli altri attori cerchiamo di gettarlo a quintali verso il pubblico! Siamo dinanzi ad un personaggio enorme, ma di tale umanità ed ironia, leggerezza, che ho sentito molto vicino. Cerco di far dimenticare la mia origine comica, che però serve a dare leggerezza. Quando recito Shakespeare, Molière, Goldoni mi piace sprofondare dentro di me e andare alla ricerca della memoria. Nello spettacolo si vive l’atmosfera del ’68, ed io la ricordo: all’epoca avevo diciotto anni e dunque la rivoluzione culturale mi appartiene. Rodari l’ha cavalcata anche se non se ne parla esplicitamente. Insomma, questo ruolo è per me una seduta psicologica: mi stanno curando col virus buono! Dal tuo passato trai la forza per scrivere il tuo futuro. Ho cambiato molte città e ho ricordi a segmenti. Sono sempre un bambino. L’attore è un mestiere da bambino e un bambino inventa teatro, non fa che creare storie. Il teatro è gioco e nasce dal fanciullino che è in te: i verbi play, jouer, significano proprio gioco. Se sei sincero in scena e trasformi questa tua emozione, anche il pubblico lo sente e si crea la sinergia”.

Quando nasce il sodalizio con i Gatti di Vicolo Miracoli?

“Con i Gatti siamo vecchi amici: a Verona stati compagni di classe; Umberto (Smaila) era mio compagno di banco, ero l’unico che ci stava perché ero magrissimo, e lui all’epoca un po’ più magro… Quel ricordo è diventato realtà di vita e lo è ancora oggi. Lo scorso anno abbiamo lavorato insieme nel film “Odissea nell’ospizio”, diretto da Jerry Calà”.

Essere attore brillante offre una marcia in più: molti comici sono anche grandi attori drammatici.

“Si, è così; la simpatia te la porti sempre con te. Questa vena ironica mi è servita nell’affrontare diversi ruoli, anche drammatici: non è facile il contrario. Cito, ad esempio, Pierfrancesco Favino, bravo in tutti i generi, brillanti e tragici. Così come Benedetto Casillo, con il quale abbiamo lavorato nel film “Miracoloni”. Nell’interpretare Rodari mi è servita questa vena di ironia, la simpatia, parlando con il suo accento piemontese”.

Quali sono i suoi prossimi impegni?

Con Marco Belocchi, attore e regista e Miriam Mesturino, porteremo in giro per l’Italia la commedia Cocktail per tre (Caprichos) di Santiago Moncada, produzione di GentaRosselli & DianAct. È bella graffiante, con un colpo di scena, divertente e insieme corrosiva. Prossime tappe, Roma e Torino”.

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