Tra i bassifondi dell’anima

Maresa Galli

Furtivo, il gioco teatrale delle attrici deve essere furtivo”, scriveva Jean Genet nel saggio “Comment jouer les Bonnes”, un’opera, come tutto il suo teatro, dall’essenza furtiva, inafferrabile, altra. E se l’Autore diviene ingombrante personaggio sartriano, una celebrità (Santo Genet, commediante e martire), è pur vero che rappresenta un unicum nel panorama contemporaneo. “Genet è un concetto”, scrive Susan Sontag contro l’arroganza di critiche estetiche e superficiali, l’esperienza artistica è unica, intraducibile. L’Autore, con il suo teatro va oltre la rappresentazione realistica di problematiche sociali, a dispetto dei temi affrontati: il mondo del carcere e dell’omosessualità (Haute Surveillance), la condizione servile (Les Bonnes), la prostituzione (Le Balcon), la negritudine (Les Nègres), il colonialismo (Les Paravents). Il teatro è un mezzo per mostrare il male in tutta la sua nudità.

Alla Sala Ichòs di Napoli, la Compagnia delle Bambole ha messo in scena Fiori del mio Genetspettacolo itinerante tra i bassifondi dell’anima, drammaturgia e regia di Andrea Cramarossa, con Federico Gobbi e Domenico Piscopo. I due attori entrano in scena portando in processione una madonna infiorata (la Notre dame des fleurs), trasformandosi da uccelli in reclusi e marinai, ladri, omosessuali: gli invisibili dell’universo poetico di Genet. Ottima la scelta delle musiche, da “Ragione e sentimento” di Maria Nazionale a “Le Condamné ‘a mort”, poesia di Genet musicata e interpretata da Babx a “Je suis malade” di Dalida che completano la drammaturgia.

Un grande gioco di specchi, di maschere, costumi eccentrici, scene ricche di oggetti simbolici che il regista assembla con lucida poesia – teatro dell’eccesso morale ed estetico per denunciare la vacuità del reale – . Il teatro genettiano è luogo sacro, di carattere rituale, simbolo di comunione. La ridondanza teatrale, “un signe chargé de signes” di Genet, richiede una forte presenza dell’attore, e straordinari, di grande teatralità fisica, sono i protagonisti dell’omaggio all’Autore francese che, alla fine, campeggia, scandaloso santo, in un altarino, ad illuminarci sulla maschera e il nulla, sull’irrazionale e il reale, oltre anche l’assurdo di beckettiana memoria. Il lavoro della Compagnia delle Bambole rientra nel programma di ricerca quinquennale “La lingua degli insetti 2012-2017”. Spiega Andrea Cramarossa: “L’approccio al mondo immenso e misterioso degli Insetti, mi ha permesso, con stupore, di lasciarmi suggestionare dagli stimoli sensibili dei loro micro movimenti, del loro esistere, del loro “sentire”, aprendo lo sguardo su possibili connessioni con il mondo altrettanto misterioso degli esseri umani. Sul palco, le luci dei fari, si avvicenderanno a torce e candele. La quarta parete, nel continuo passare da distruzione a ricostruzione, sarà più volte abbattuta e ricostruita: gli spettatori entreranno nel gioco infame della metamorfosi, talvolta condotto attraverso atti demenziali, altre volte con drammaticità, sfociando spesso nel senso di un vivere grottesco.”

 

 

 

 

 

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