Addio a Enzo Moscato. Grazie

Angela Matassa

Poche parole nell’affollato immediato ricordo di Enzo Moscato. Il nostro Poeta è andato via. Con quel suo “modo minore”, che lo ha contraddistinto. Ci ha lasciato, spiazzandoci, desiderosi di ascoltare ancora la sua voce, unica e avvolgente. La musicalità delle sue parole, dei suoi versi, che hanno raccontato l’umanità, senza confini né tempi. Il dolore e la gioia. La crudeltà e il paradosso. Che ha portato sulla scena personaggi minimi, che hanno potuto urlare, – a Teatro si può – ardore, amore proibito, lutto, memoria.

Enzo Moscato ha dato vita a un universo di autori, scrittori, interpreti di temi e linguaggi nuovi: la Nuova drammaturgia. Con quel suo pluridioma, misto e fantasioso, ricco di termini inventati o composti, di neologismi evocativi, ha inondato gli amanti del rito teatrale, in ascolto attento della sua voce o di quella di attrici iconiche.

Enzo forse aleggerà con i fantasmi, che si aggirano tra i muri delle sale dei Quartieri Spagnoli, con il fratello, con Antonio Neiwiller, con Annibale Ruccello, che spesso ricordava. Anime che hanno vissuto lì e lì trovata ispirazione e casa teatrale. Lì, dove egli stesso ha recitato, creato e donato.

Ciao Enzo. E grazie.

Enzo Moscato e Benedetto Casillo in Occhi Gettati (ph Pino Miraglia)

Nota a “Spiritilli”*

L’assurdo testuale, fatto oggetto di visitazione scenica. E, ancor prima di visitazione scenica, evento di ingoiamento e re-ingoiamento – da parte degli attori – della scrittura medesima di cui è fatto quell’assurdo. Come se si trattasse di un succulento e pantagruelico pasto, solo fatto di parole e non di cibo.

Rito linguistico autocannibalico per eccellenza, prima ancora che drammaturgico: deliberatamente ispirandosi e collegandosi a un precedente lavoro teatrale di Enzo Moscato, Recidiva del 1995, Libidine violenta si propone di esserne l’ante o post factum, indifferentemente.

Autonutrendosi dal principio alla fine di allucinazioni, idiosincrasie, mitomanie verbali, accennate e vissute come se fossero la più normale condotta linguistica di vita – nel caso specifico: di scena – lo spettacolo è un omaggio spassionato al puro non-sense: un ilare attentato commesso sul corpo asfittico della banale e comune significazione che, di questi tempi, è piuttosto di casa nel teatro nostrano.

Un allestimento visionario e provocatorio, dai toni allegri e farseschi, tra il ‘camp’ e il postmoderno, per celebrare, attraverso le figure sghembe, frangibili e parossistiche di Moscato e dell’autore-attore franco-argentino Copì, vero ispiratore dell’opera, la messa a rogo della ‘ragion pura’ a favore dell’incoercibile trasgressione pulsionale”.

Enzo Moscato

*Estratto dal testo “Ritornanti”

(L’immagine di copertina è di Pepe Russo)

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