Ribelle e inascoltata Cassandra

Angela Matassa

Ciechi o inascoltati: è la sorte di gran parte degli uomini. Cassandra predice ma non è creduta, l’umanità è – e spesso vuole restare – cieca di fronte ai fatti della vita, alle possibili previsioni, al destino. Nel Cortile delle Carrozze di Palazzo Reale, il 7 e 8 luglio, per il NTFI, sezione Osservatorio, è andato in scena Io credo a Cassandra. Capitolo 1 – La tempesta di Enzo Marangelo, ispirato al testo che Christa Wolf scrisse nel 1983 in cui la veggente sacerdotessa, figlia di Ecuba e Priamo, racconta il tramonto e la rovina della sua città, ricordando la traversata dell’Egeo in tempesta. Con Raffaella Anzalone e Sara Meoni, e con Martina Coppeto, Raffaella De Piano, Lisa Imperatore, Francesca Murru, Mario Paesano, Davide Pascarella e Paola Senatore.

Ne è protagonista una Cassandra-simbolo, metafora, appunto, dell’essere inascoltato pur dicendo delle verità che, terribili e scottanti colpiranno. Nella sua drammaturgia, il regista parte dalla guerra di Troia e nel lavoro diviso in capitoli, nel quale costruisce l’azione ispirandosi all’antropologia delle città che li ospita, dedica a Napoli la tempesta contro la quale lotteranno gli achei e dalla quale emergeranno esausti ma vivi.

Un lavoro fortemente corporeo, dal sapore di tragedia greca classica, con tanto di coro che apre e chiude la messinscena. Dopo l’apertura, l’azione si svolge muta nella prova fisica degli interpreti che combattono nella guerra, rappresentano lo stupro nel tempio, e infine lottano con la forza dell’Egeo. Nella successiva il monologo di una doppia Cassandra che parla e partecipa della sorte che le è stata assegnata, quindi una sorta di oratorio, in cui gli attori riportano pensieri e riflessioni di giornalisti, testimoni e operatori delle zone di guerra di oggi, da Anna Politoskaja a Ilaria Alpi, prima del coro finale.

Christa Wolf risuona, con la sua Cassandra dalla forte coscienza morale, la sua ribellione agli inganni, ai vizi, alle false ragioni di stato. Con la sua presa di coscienza, uccisa perché sa la verità. Con la bestialità sessuale degli uomini. Con la forte contemporaneità.

I temi della pièce sono chiari e la parte didascalica delle testimonianze interrompe un po’ il ritmo e la consequenzialità della vicenda, pur se molto bene retta dalla giovane compagnia.

Bella la scena della tempesta, l’attraversamento del mare a forza di braccia e remi, il rischio dell’annegamento su una barca rappresentata da pochi ma significativi elementi, sostenuti dalla musica e dai giochi di luce.

E’ interessante vedere giovani teatranti impegnati nel lavoro di studio e rielaborazione, alla ricerca di nuove chiavi di lettura degli antichi, eterni miti.

 

 

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